Espandi menu
cerca
L'abbaglio

Regia di Roberto Andò vedi scheda film

Recensioni

L'autore

lamettrie

lamettrie

Iscritto dal 20 giugno 2013 Vai al suo profilo
  • Seguaci 8
  • Post -
  • Recensioni 646
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su L'abbaglio

di lamettrie
4 stelle

Ambiguo. Commerciale. Non dice nulla di nuovo né interessante su un aspetto cruciale della nostra storia. 

Il film di Andò si può tranquillamente evitare di vedere, anche se – dalla sua – vanta alcuni pregi. Innanzitutto, ogni tanto si ride bene (come quando uno dei due protagonisti scopre che la vecchia fidanzata è ormai moglie e madre). Raramente, si vede qualcosa di intelligente serio: come con il lutto pianto dalle donne del sud, un’usanza tanto impressionante e in parte assurda, quanto reale.

Ma la patina è modesta, televisiva. Non solo per la parte, così popolareggiante, nel monastero.

La sceneggiatura, troppo semplice, sembra studiata per fare presa sul pubblico più sempliciotto. Del resto la scelta di Ficarra e Picone sembra in linea con ciò: comunque far ridere il popolino, anziché il pubblico meno sprovveduto, fa più cassetta, come è noto. Non ci sarà la pretesa che poteva avere un Monicelli quando nel ’59 dirigeva Sordi e Gassman nei panni similari di due italiani qualunque, inghiottiti anch’essi dalla “grande storia” de “la Grande guerra”: individualisti e falsi; codardi ma condannati dalla propria coscienza ad avere uno scatto d’orgoglio e di dignità che li porta sopra la loro abituale meschinità, oltre che portarli alla morte. Ma, giacché il tono indicato è quello, ben impegnativo, almeno sarebbe stato utile, con umiltà, tentare di avvicinarvisi.    

Le scene di massa, poi, si sarebbero dovute gestire in modo epico; ma la difficoltà di reperire mezzi economici adeguati ha forse fatto il paio con la difficoltà di reperire mezzi estetici adeguati.

La riflessione storica, per quanto condivisibile, è trita e ritrita. Che il Sud Italia abbia conosciuto molti più svantaggi che vantaggi dall’unificazione; è storicamente noto – per quanto occultato da una certa, spesso interessata, retorica. Che i democratici nel Risorgimento siano stati più che altro ingannati – quando la loro opera è stata coronata dal successo – e strumentalizzati per creare uno stato italiano che poi fu molto più contrario, che vicino, a quello che loro speravano e per cui hanno combattuto, e che molti di loro siano rimasti disabili o sono morti per “un abbaglio”: è altrettanto vero. Ma di tale lettura storica qui c’è un po’ poco. Che almeno è affidato a un Servillo eccellente come al solito: lui solo tiene in piedi la baracca della recitazione, assieme a un Ragno che però appare in ben poche battute, e per giunta di un Garibaldi molto stereotipato (non per sua colpa), oltre che nascosto.     

L’equazione italiano=disonesto è roba da ‘900. Non che fosse scorretta; non che dopo ci sia stata un’evoluzione morale nel popolo italiano così ragguardevole: ma il refrain dell’individualista falso e baro purtroppo infesta anche un finale da cui ci sarebbe aspettato ben altro, oltre alla celebrazione, appunto, del successo storico di tale individualismo delinquenziale e spregevole.

Alla fine tutto è andato bene; si sorride. I protagonisti hanno avuto lo scatto di eroismo: guarda caso, il lieto fine li salva pure. Ma il finale si prestava ad essere drammatico, data la piccineria morale dei due. E invece, ancora una volta, il bel gesto finale, che non riscatta la loro grettezza complessiva, dovrebbe bastare ad assolverli. Ma non ci riesce – anche alla luce del finale, gestito in modo contraddittorio.

La rivisitazione - cui il film di Andò sembra voler partecipare - dei tanti drammi e squallori della storia italiana degli ultimi secoli richiedeva ben altro, per meritare una sufficienza cui comunque la sua pellicola non è andata però tanto lontana, per certi versi. Quanto meno, il dolore della guerra, la morte e la disabilità cui essa ha condotto alcuni per i più nobili fini di interesse comune, qui appaiono.  

Per dire del peggioramento culturale dei tempi: a fine secolo scorso bastavano delle serie TV per raggiungere, sugli stessi temi, un livello estetico e una significatività storica incomparabilmente superiori - basti pensare a "Le cinque giornate di Milano" del '70, o a "Il generale" di Magni dell'87.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati