Trama
Diretto da Fatih Akim, Amrum è la storia di una perdita e di una formazione, ambientata sull’isola tedesca che dà il titolo al film. Nel 1945, Nanning, un bambino di 12 anni, interpretato dall’esordiente Jasper Billerbeck, si ritrova improvvisamente a confrontarsi con un mondo che cambia troppo in fretta. In un’estate sospesa tra mare e memoria, tra scoperte dolorose e fugaci momenti di libertà, il giovane protagonista affronta la fine dell’infanzia e l’inizio di un nuovo, incerto capitolo della sua vita.
Attorno a lui, adulti feriti e spaesati (tra cui Diane Kruger in una delle sue interpretazioni più toccanti, nei panni della madre di Nanning) cercano risposte che non arrivano mai, mentre il paesaggio - dolce e implacabile - osserva tutto, muto.
Amrum, presentato a Cannes 2025, è un film sull’espulsione dal “paradiso”. Ma non è solo un racconto d'infanzia. È anche un’indagine sul senso di appartenenza, sull’identità tedesca, sul timore di perdere ciò che si è stati.
Fatih Akin, riflettendo sulla crisi di una nazione attraversata da paure e spettri del passato, torna a un cinema più intimo, poetico e profondamente personale. Il tono è malinconico ma non cupo, sospeso tra De Sica e Rob Reiner, come suggerisce lo stesso regista. Un’ode al cinema che forma, all’educazione come radice e patria: “Dove siamo stati educati, lì è la nostra patria”, ricorda Akin, citando Goethe.
Amrum è anche un film dedicato a Hark Bohm, mentore di Akin, che aveva scritto il primo trattamento e che ha affidato al regista la responsabilità di completarlo. Il risultato è un atto d’amore e riconoscenza, ma anche un testamento sulla capacità del cinema di affrontare i temi più profondi senza perdere grazia e mistero.
“Amrum è diventato per me un viaggio nell’anima tedesca, un film sull’espulsione dal paradiso, e sull’amore incondizionato per una storia che non era mia, finché non lo è diventata”, ha ribadito il regista. “Forse è l’ultima lezione che Hark Bohm mi ha lasciato: il cinema resta un mistero eterno”.
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