Regia di Marco Filiberti vedi scheda film
Non è film sul porno. Non è un film ”gay” (piuttosto: gaio). È un film su due fratelli, una bella, tenera storia di differenze che bruciano dal desiderio d’incontrarsi. Riki è solare, liberato, guadagna palate di soldi facendo sesso sui set hard abitati di maschi palestrati che regalano quattro sogni a chi non se ne può permettere di più immaginifici e concreti, è circondato da amici veri che lo adorano, è accentratore e narciso e le sue parole sono - sfrontatamente - di burro. Federico è il suo contrario, intimorito da una banalissima quotidianità e timido nei sentimenti, vorrebbe ma non (ci) riesce, nascondendosi dietro un paravento di apparente tranquilla borghesità. Un funerale (la morte) li riavvicina e il contagio si propaga subito (altro che Aids).
Con Poco più di un anno fa entra nell’olimpo dei grandi debuttanti, Marco Filiberti, talentuoso registattore d’area fassbinderiana, che ama un mondo di dinamiche sirkiane, magnifiche ossessioni, specchi della vita e umori viscontiani. Forse perché assomiglia così tanto a Helmut Berger o forse perché i suoi modi di interagire col cinema, si alimentano del coraggio dei semplici e dell’insolenza dei puri. Ambiziosa eppure umile, e cromata di quelle sfumature che dividono (gl)i (iper)sensibili da coloro che rifiutano per paura ogni tipo di confronto, la sua opera prima luccica d’emozioni, esplode amore, irrompe nelle lacrime, contorce e meraviglia. Piovuto dal cielo, Filiberti accompagna i suoi attori in uno stato di grazia che mai - per esempio - avremmo pensato di cogliere negli occhi di Urbano Barberini e Alessandra Acciai. E fotografa la verità di una (non) attrice come Rosalinda Celentano con scultorea precisione. Filiberti stupisce anche nei panni di Ricki Kandinsky (la cui parabola non può non ricordare l’indimenticata Moana): manipolando con squisita leggerezza materie narrative di frontiera; e svelando fragilità e corpo, compresi ventiquattro centimetri di orgogliosa vanità.
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