Regia di Marco Filiberti vedi scheda film
Le premesse non erano promettenti, sia per il nome del regista che per la scivolosità dell'argomento. Eppure, bisogna dire che Filiberti ce la fa. L'autobiografismo (con ovvi riferimenti alla vicenda umana e "artistica" di Moana Pozzi) sfora talvolta nel narcisismo, ma si colgono accenti di verità in questo appello accorato ad uscire dal pregiudizio. Tanto che forse il vero protagonista del film mi sembra il fratello Federico (un insolitamente intenso Urbano Barberini), quello "normale", quello che, a costo di molti sforzi, vince i propri pregiudizi e la cui scelta si rivela perfino vantaggiosa (se non altro perché si libera dell'odiosa fidanzata francese). Un film che ha una sua dignità e che non è banale come altri prodotti di questi anni zero del terzo millennio. Forse perché, al fondo, c'è una vera sensibilità (e simpatia) con la materia del racconto.
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