Regia di Pasquale Squitieri vedi scheda film
Sorta di Verdetto alla napoletana, questo Avvocato De Gregorio presenta almeno tre aspetti su cui pare opportuno riflettere. Il primo riguarda la messinscena in senso stretto di Pasquale Squitieri: se è vero che ne va riconosciuta la coerenza nella ricerca di una sgradevolezza dall’efficacia oserei dire quasi fenomenologica, è altrettanto adeguato riconoscerne la rozzezza di un montaggio dozzinale e l’efferatezza di primi piani non di rado fastidiosi se non volgari. Riconoscere la coerenza di un grande artigiano che, piaccia o no, ha sempre girato in questo modo, può comunque essere messa in discussione in relazione alla sua, diciamo così, modestia registica d’altri tempi?
Il secondo è legato alla recitazione di Giorgio Albertazzi, che nell’arco di sessant’anni è stato abbastanza parsimonioso sul grande schermo ed un motivo c’è: è un grande attore teatrale che ha bisogno di spazi che la regia pedante di Squitieri non gli sa lasciare. Per quanto coinvolto e forse appassionato, non si crede mai del tutto a questo signore coi baffi finti e la voce non proprio pertinente con il luogo dell’azione, che recita versi di vecchie canzoni popolari come sentenze malinconiche, che cade a causa di un presunto infarto in maniera abbastanza composta. Personaggio certamente complesso a cui però non si concede il lusso dell’ellissi pur di spiegare ogni cosa.
Il terzo è relativo al film in sé, che in realtà non è neanche malissimo rispetto ad altri titoli di Squitieri se non altro per la sincerità nel rapporto regista-attore, nello sguardo su una città disgraziata e nel tema affrontato in modo accorato. Purtroppo è un film raffazzonato alla peggio, convinto che il contenuto didattico possa sovrastare la superficialità estetica di un lavoro che nelle mani di qualcun altro avrebbe dato ad un attore una prova maiuscola su un piatto d’argento e fatto la gioia del pubblico amante dei legal drama all’americana (tradizione a cui il regista spesso si riferisce: invano).
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