Regia di Francesco Patierno vedi scheda film
Sconvolgente, brutale, ineluttabile. L'esordio alla regia di Francesco Patierno, dall'omonimo romanzo di Massimo Cacciapuoti, è un autentico pugno allo stomaco. Un tragedia moderna che conferma ancora una volta come le gravi colpe dei padri si ripercuotano inesorabilmente sui figli, aggiungendo miseria a miseria, sangue a sangue, morte a morte. "Pater familias (la definizione latina diviene un paradosso del significato alto che culturalmente rappresenta da millennni) per caso, per inerzia, per un gesto disperato e antico, per cui avere una famiglia significa unicamente possedere un luogo dove esercitare potere e sfogare frustrazioni, una enclave dove si può essere tiranni contando sul silenzio dei sudditi." (Revision Cinema - Emaanuela Liverani) Diretto in modo ardito, non convenzionale e dinamico, con continui rimandi ed intrecci tra presente e passato, con un ritmo implacabile e vibrante, recitato (benissimo) per lo più da ragazzi di strada, in napoletano stretto con sottotitoli in italiano per accentuarne il forte realismo, dai dialoghi crudi e spietati, "Pater familias" è un affresco denso ed ossessivo, a tratti fin troppo (l'accumulo di casi limite, infatti, rischia di suonare programmatico), doloroso, sofferto, atroce, comunque durissimo. Patierno con estremo coraggio racconta di come la famiglia oggi sia allo sfascio: dovrebbe proteggere e soprattutto educare alla vita i suoi figli e invece li manda con indifferenza allo sbando in un mondo imbarbarito e involgarito, che pare un inferno sulla terra, incandescente ed esplosivo, dove vige la legge maschile del più forte e non c'è più spazio nemmeno per la dignità (la sequenza dell'incesto è terribile). Nascere in certe periferie di Napoli pare quasi una condanna: difficile evitare la delinquenza, la violenza, la prigione, l'apatia, la rassegnazione, la trascuratezza o la morte se non con la fuga, come desidererebbe Geggè. Il regista documenta con sguardo lucido, disincantato, asciutto ed analitico, senza compiacimenti né pregiudizi, una realtà incancrenita e malata dall'interno, pervasa da un senso di fatalismo e di passività che non dà scampo. Le speranze di una redenzione e di una salvezza vengono affidate al bel personaggio di Matteo, che sta pagando pesantemente le conseguenze di un suo gesto estremo, ma è soprattutto il tragico e crudele destino che accompagna i suoi amici Antimo, Roberto, Geggé, Michele, Alessandro e Anna a spaventare, a turbare, a fare male. E le ferme parole della madre superiora sul ruolo delle donne del sud che "hanno l'abitudine di abbracciare l'immutabilità del destino e finiscono per mortificare quanto c'è di più elevato nel loro spirito" e sull'ignoranza come causa prima di tutti i mali, dal momento che "qui ha fatto più danni l'ignoranza che tutte le guerre, le carestie, i terremoti messi insieme!", sono verità difficili da accettare, certo molto scomode ma inconfutabili ed impietose, capaci di pesare come macigni sulla coscienza...sporca di molte, troppe persone che preferiscono chiudere gli occhi e tacere piuttosto che agire ed assumere le proprie responsabilità. Presentato nella sezione Panorama, al cinquantatreesimo festival internazionale di Berlino. Nomination ai David di Donatello quale migliore regista esordiente. 3 nomination ai Nastri d'argento: regista esordiente, produttore, montaggio.
Voto: 7+
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