Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
C'è una frase chiave nel nuovo film di Ferzan Ozpetek, pronunciata dal protagonista, l'anziano Davide a Giovanna: "Non si accontenti di sopravvivere". In effetti fino all'incontro con Davide, Giovanna sembra trascinare stancamente e svogliatamente la sua esistenza, come emerge, dopo l'incipit negli anni quaranta, dalla prima sequenza ambientata ai giorni nostri, dove la ragazza discute piuttosto animatamente e come d'abitudine con il marito Filippo per le strade di Roma. Un lavoro poco soddisfacente come contabile in una ditta che confeziona polli, una vita matrimoniale non proprio brillantissima dove anche i momenti di intimità sembrano più un obbligo che non un piacere, un marito dal lavoro precario e dai turni impossibili (lavora sempre di notte), i problemi quotidiani che inevitabilmente una famiglia con due bambini piccoli comporta, la sola soddisfazione di preparare prelibati dolci per un'amica che lavora in un bar e di vedere/spiare di sera, nella casa di fronte Lorenzo, un bel ragazzo su cui fantasticare infantili desideri o deboli speranze ed illusioni, o meglio su cui proiettare la propria aspettativa di vita, libera da impegni, obblighi, noie matrimoniali. Certo l'ultima cosa che può venire in mente in una tale condizione è occuparsi di un uomo anziano che ha perduto la memoria e non riesce più ad orientarsi nel casino di una grande città; men che meno si può pensare di ospitarlo in casa, in attesa che la polizia riceva qualche denuncia di scomparsa. Eppure Giovanna, inizialmente molto più riluttante del marito, decisamente infastidita ed irritata da quella presenza/assenza in casa sua, in parte costretta dalle circostanze (il marito ben presto si disinteressa di quell'uomo), in parte intenerita e incuriosita da Davide, incomincia a prendersi cura dell'anziano, cercando, proprio con l'aiuto di Lorenzo, di aiutarlo a ritrovare la via di casa. Quell'incontro con Davide cambierà radicalmente la sua vita, facendole capire cosa davvero conta per lei che fino a quel momento aveva vissuto tutto con approssimazione, quasi disinteressata, fragile, isterica, annoiata, priva di un reale entusiasmo per ciò che conta davvero. Da Davide non solo imparerà quei piccoli trucchi necessari per fare le torte più saporite e gustose, come per esempio non usare l'acqua impura del rubinetto, ma anche l'importanza dell'amore vero e profondo ("cos'è la vita senza l'amore" canta Nada), la consapevolezza di accettare che nella vita non si può mai ottenere tutto ciò che si vuole, ma si deve inevitabilmente scendere a dei compromessi, facendo sacrifici e rinunce, il coraggio di scelte controcorrente e all'apparenza assurde, ma indispensabili per dare un senso al proprio esistere, come ad esempio abbandonare il proprio lavoro, sicuro ma monotono e ripetitivo, alienante e meccanico, e darsi da fare per trovare un posto come pasticciera, realizzando un'antica e mai abbandonata passione. Ozpetek, dopo il successo de "Le fate ignoranti" racconta ancora una volta la rinascita di una donna a contatto con una realtà inedita, quasi misteriosa per lei (là era la comunità gay, qui un povero anziano smemorato e il suo doloroso passato). All'inizio in entrambi le opere l'impatto è quasi frastornante, c'è il rifiuto di un mondo che non appartiene alla protagonista, il desiderio di proseguire per la propria strada, l'incapacità di accettare e di vedere la vita sotto un'altra prospettiva, con altri occhi, da un'altra finestra (suggestiva e ben realizzata la sequenza in cui Giovanna guarda dalla casa di Lorenzo le finestre di casa sua, inquadrando per una volta dall'esterno e sotto una diversa luce la sua famiglia). C'è sempre una storia d'amore accennata e mai consumata (là Accorsi e la Buy, qui la Mezzogiorno e Bova), ma necessaria per far capire alla protagonista quanto sia importante voltare pagina e ricominciare da capo con un nuovo entusiasmo e una nuova convinzione, accettando i limiti e le contraddizioni della vita come qualcosa che la rende ancora più degna di essere vissuta e c'è ancora il cibo, "simbolo della vita e della realtà" a detta dello stesso regista, a fare da elemento ricorrente nella sua filmografia: ne "Le fate ignoranti" c'era una tavolata ricca, qui una sequenza da leccarsi i baffi con infinite e squisite torte, preparate da Davide, che imbandiscono il tavolo della sua casa. Peccato che Ozpetek però non riesca a comunicare reali emozioni, né a coinvolgere lo spettatore se non in sporadici episodi. Molto bella ad esempio la sequenza del ballo in cui immagini del passato si sovrappongono a quelle del presente, struggente la sequenza in cui Davide, girovagando di notte per la città, giunge alla saracinesca abbassata di un negozio e disperato si mette a piangere, senza che Giovanna e Lorenzo riescano a capirne il motivo, molto efficace la costruzione a flashback attraverso cui veniamo a ricostruire il passato di Davide (un amore, tanto per cambiare omosessuale, per Ozpetek deve essere un'ossessione, finito male, una lettera mai arrivata a destinazione). Ozpetek affina il suo stile, rendendolo scorrevole e molto avvolgente, regala alla Mezzogiorno un ruolo intenso e convincente, ma sopratutto si avvale di un Massimo Girotti, semplicemente strepitoso, capace di trasmettere lo smarrimento, la paura e la disperazione di un uomo senza più punti di riferimento e completamente in balia delle circostanze. Non convincono invece gli altri due personaggi maschili, forse anche perché affidati a due attori piuttosto monocordi e piatti: il personaggio di Filippo è liquidato troppo superficialmente e frettolosamente, piuttosto inutile e poco funzionale quello di Lorenzo. Una macchietta poi la collega di lavoro e amica di Giovanna, capace soltanto di consigliare ripetutamente alla protagonista di "scoparsi il bel vicino", tanto per togliersi qualche soddisfazione. La morale del film è molto semplicistica e a tratti fastidiosa, le soluzioni narrative non sempre felici, il ritmo piuttosto blando e lento, alcuni dialoghi ai limiti dell'imbarazzo, la recitazione non sempre all'altezza, certi temi solo suggeriti o accennati, alcune sequenze quasi grottesche e involontariamente comiche (ad esempio la visita al negozio di fronte alla cui saracinesca Davide era scoppiato in lacrime), altre di troppo facile e furba commozione (la corsa per le scale di Giovanna per dare un ultimo saluto a Lorenzo). Intorno a questo film si è creato un entusiasmo esagerato ed ingiustificato, ma è sicuramente un passo indietro rispetto alla precedente opera di Ozpetek: pare meno spontanea e naturale, più studiata a tavolino (non a caso la sceneggiatura è stata riscritta ben undici volte) proprio per consentire una facile ed immediata identificazione che puntualmente e inevitabilmente scatta. Alla fine però si ha una strana sensazione di vuoto e di risaputo ed il film non riesce a comunicare nulla di nuovo, sincero o coinvolgente sui sentimenti, sull'amore e sulla difficoltà di trasmetterli a chi ci sta vicino: paradossalmente sembra quasi si accontenti di sopravvivere, rimanendo sulla superficie delle cose, senza cercare di approfondire, affidando a un'immaginaria e conclusiva lettera, che Giovanna scrive a Davide, la soluzione della vicenda. Sicuramente un film ben fatto (e questo è già un pregio non indifferente nel panorama italiano), ma anche freddo, anonimo e incapace di trasmettere allo spettatore la sensazione che in fondo troppo spesso ci si limita ad osservare dalla finestra, proiettando in un futuro incerto e nebbioso le nostre più profonde emozioni (...chissà un domani andrà meglio, poi tutto si aggiusterà...), senza però fare nulla per dare un senso autentico ed appassionato alla nostra esistenza, sforzandosi di uscire dal torpore quotidiano e smettendo di accontentarsi di sopravvivere.
voto: 5 e mezzo.
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