Regia di Gabriele Iacovone vedi scheda film
Matteo, un giovane siciliano perseguitato da un passato oscuro, approda nella città polacca di Lodz dove un amico degli amici, Mario, potrebbe concedergli aiuto, lavoro, vitto e alloggio. Mario gestisce un ristorante dal nome altisonante, “Dolce Vita”, e subito si rende disponibile. Intanto, i sogni di Matteo diventano incubi, riaffiorano violenze, forse il ragazzo ha un omicidio sulla coscienza e, tra sforzi e sospetti, vorrebbe dimenticare e rifarsi una vita. Magari con Ewa, la dolce e bella cameriera che pare avere più di un occhio di riguardo per il comunque ambiguo straniero. Ci si sforza, guardando questo esordio nel lungometraggio dell’altrove cortista e regista teatrale Gabriele Iacovone, di concentrarsi sulla pseudo-presunta-novità dell’emigrazione in controtendenza del protagonista (l’acerbissimo Antonio Berardinelli), poiché il resto dell’assunto, l’elementare messa in scena e la recitazione approssimativa del resto del cast (ad eccezione di Agnieszka Duleba-Kasza, un volto da tenere d’occhio) non consentono altre vie. Lo sguardo sulla Polonia (che pur pare sincero), sui mafiosi locali e su quelli d’esportazione (francamente folkloristici) è drammaticamente convenzionale. I luoghi sono, purtroppo, molto comuni anche a chi nell’Est non ci ha mai messo piede. Una buona idea che, dopo dieci minuti, denuncia lacune, aridità creative e fiato corto. Che l’autore abbia scambiato il suo debutto per uno dei suoi precedenti piccoli film?
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