Regia di Gabriele Iacovone vedi scheda film
Per fortuna che c’è un regista che ancora si ricorda di quando eravamo noi italiani ad emigrare ed a cercare fortuna all’estero! E’ più che mai opportuno di questi tempi mostrare e raccontare quel profondo senso di solitudine, estraneità e tristezza che accompagna le vite di uomini costretti a lasciare la propria terra. E l’esordiente Gabriele Iacovone (anche lui alle spalle un passato di emigrante in un’altra terra.... e in un’altra vita!) riesce molto bene a far respirare questa insostenibile aria nel suo film Non sono io che, dietro la lineare, a tratti banale e televisiva "storia" di un giovane mafioso che cerca rifugio in Polonia, ha il meritevole pregio ed audacia di raccontare sentimenti come l’amore e l’amicizia con quello sguardo ingenuo e pulito che solo apparentemente può sembrare superficiale ed approssimativo. La storia di Matteo (l’esordiente, in un ruolo da protagonista, e bravo Antonio Berardinelli conferma di come il nostro "parco" attori, se valorizzato e coraggiosamente impiegato al posto delle solite facce, è capace di far emergere volti e talenti interessanti!) che arriva a Łódź, in Polonia, ed aiutato da un suo connazionale - che gli trova casa e lavoro - cerca di cominciare una nuova vita, è il racconto di esistenze al confine in precario equilibrio tra l’illegalità e il desiderio di tranquillità.
La regia ancora acerba di Iacovone, la fotografia grigia di Sandro Grossi e le fredde location di una città ex importante centro industriale della Polonia contribuiscono ad una resa poco accattivante, poco consolatoria e mai ruffiana lasciando però intravedere dietro i "classici" difetti di tanti esordi del cinema italiano (poca voglia di sperimentare il nuovo, confini ed aspettative limitate, scarso entusiasmo produttivo e distributivo) l’impronta di un regista attento e sensibile ai destini in viaggio dell’uomo.
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