Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
"Kill Bill, Vol.1" entusiasma innanzi tutto per la forza-violenza d'impatto visivo, quindi perché appare un sentito atto d'amore verso generi cinematografici che nei loro canoni tradizionali oggi sono quasi estinti (i film di azione incentrati sulla vendetta personale a seguito di una vile strage, sia orientali, sia americani, sia italiani) e più in generale verso un certo immaginario pop che spazia fino al mondo dei fumetti.
Un atto d'amore perché ne fa rivivere il ricordo, ma con una forte coscienza d’autore, che affascina per la struttura del film in capitoli, per le trovate sceniche, per le scelte di fotografia (ad esempio nel lungo combattimento finale, dove non consentono allo spettatore di annoiarsi per le “fantastiche” esibizioni di lotta con katana), per lo stile asciutto, la linearità dei personaggi, l'ironia e la salacità.
Iperrealismo funzionale: con evidenza sembra un'operazione consapevole e riuscita di ricomporre in un solo film, una schietta summa di una certa cultura (forse) minore, ma comunque forte fino a venti - trent'anni fa, per tramandarne adesso la conoscenza ai posteri, con sequenze indimenticabili come quelle una volta dei film di Sergio Leone.
La divisione in due volumi non risulta affatto forzata dalla durata complessiva, e non lascia insoddisfatti, certo incuriosisce e mette impazienza di vedere il secondo, soprattutto dopo la geniale rivelazione di Tarantino, tramite Bill (di seguito al riepilogo che in segno di sfida la protagonista fa ad una delle sue vittime, martoriata ad oltranza, perché ora parli e poi riferisca… Che vive nel film in un fantastico montaggio alternato – segue ciclicamente il Capitolo 1: “2”).
Un vero e proprio compendio pop-rock in stile anni ’70, con reminiscenze addirittura rock-a-billy nella canzone “Woo Hoo” eseguita dal gruppo punk femminile giapponese The 5.6.7.8’S.
David Carradine – Bill, per il momento è un pacato e fantasmatico mostro dietro le quinte, che nelle parole dell’incipit, prima del proiettile sparato a distanza ravvicinata, nel cranio della sua preferita, mostra la follia del suo sadismo dichiarato.
Uma Thurman è perfetta nella parte di una donna (di nome? Beep…) che sopravvive ad una morte scontata e presa coscienza della perdita del frutto del suo grembo, si trasforma in un automa che esige unicamente vendetta, una fiera sanguinaria che riesce a giustificarsi con una bimba di pochi anni per l’omicidio della madre e le concede comunque il diritto al regolamento dei conti, se vorrà, quando sarà grande.
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