Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Quentin Tarantino, il regista che sfida e sfonda ogni logica, con "Kill Bill" ha creato il suo capolavoro-manifesto. Puro cinema. E lo spettacolo non si riduce a ciò che di più apparentemente si vede, ovvero le citazioni dai film kung fu, dagli spagetti-western, ecc., ma è la sua vena disarticolatoria della materia e delle forme narrative che ci fa urlare: "Questo è cinema!". Chi l'ha detto che il cinema debba dire chissà che cosa? Gli strumentalisti benpensanti, ovviamente. Be', al massimo il cinema può proporre, provocare, lanciare il sasso e aspettare una risposta, ma per lo più "fratello cinema" è un gioco di immagini e di emozioni che coinvolge la nostra vita-che-non-si-vede. In "Kill Bill" questa linea è la dominante. Dapprima ci salta agli occhi la costruzione stessa della storia, che passa da una scena all'altra con notevoli e a volte pure rischiosi salti temporali. Ma non fai mai confusione. Non ci riesci. Perchè? Perchè il regista si chiama Tarantino.
La divisione in capitoli e paragrafi, non solo rompono la tradizione narrativa, ma aiutano a vedere in "Kill Bill" , e quindi anche nel cinema, un prolungamento dell'effetto emotivo della vecchia letteratura. Oggi, con il cinema tale effetto non solo s'è migliorato ed innovato, ma s'è pure amplificato. In un film gozzovigliano alla stessa tavola la pittuta, il romanzo, la scultura e il fumetto con la musica. E in "Kill Bill" si vede perfettamente. Perchè? Perchè il regista si chiama Tarantino.
E ancora: il gioco dei vari "registri" e della discontinuità dello stile, proprio come stile sovversivo, hanno aiutato la scena del "massacro degli 88" (già fetta di cinema antologizzabile)ad essere godibile nonostante la sua lunghezza e la sua ripetitività. Prima è a colori e rocambolesca come un video game, poi si svolge nella controluce blu di un locale caduto improvvisamente nel buio, per poi finire in uno spudorato omaggio western sotto la neve. E in questo aiuta tantissimo anche il "gioco al contrasto" che il regista fa con le musiche, cucendo a determinate scene, melodie contrarie: anche qui si realizza la discontinuità efficace del film.
Per non parlare del cartone-regressione che ci parla del passato della killer nippo-cino-americana: non solo è pregievole arte del disegno animato (e si dovrebbero interrogare tutti dalla Disney alla scuderia di Spielberg), ma è anche un esplicito aiuto che Tarantino da al suo affamato spettatore per immergersi nella dimensione cartone-fumetto del suo capolavoro. Una dimensione confermata anche dalla stessa fabula: la protagonista che deve arrivare ad uccidere il grande cattivo, e che per farlo deve affrontare una serie di ostacoli. Questo mi ricorda i cartoni animati, soprattutto e non a caso quelli giapponesi. Nessuno ha presente il bellissimo "Judo Boy"? Il tipo in questione, a cavallo di una motocicletta, perseguiva l'uomo da un occhio solo, per vendicare la morte del padre, e per strada incontrava una serie di ostacoli. Ma questo non è l'unico, quasi tutti quei cartoni avevano questo intreccio che strizzava l'occhio, come tutto chiaramente, all'impostazione delle favole. E infatti, tutti attendono trepidanti lo scontro finale... che ha l'enfasi di un duello western, o di quelle puntate finali dei nostri amati cartoni, in cui siam contenti per l'eroe (io un po' meno vista la mia affezione ai villain), ma al tempo stesso avvertiamo la tristezza della fine. La tristezza di amici di viaggio che dal giorno dopo non ci saranno più. E lo scontro con Lucy Liu, è solo un gustoso anticipo-poetico dello Scontro degli Scontri con il grande cattivo.
Efficace quindi, la struttura episodica del film. Aver rimandato tutto al Vol. 2 è stato ingegnoso. Io l'ammiro per questo, anzi avrei fatto la stessa scelta. Perchè è un bellissimo gioco sull'enfasi. Perchè altrimenti i cartoni animati, o anche i telefilm, e mi spiace dirlo pure le soap opera, ci prendono così tanto? Proprio perchè incide sul nostro gusto il "gioco del ritorno". I personaggi che ritornano, i cattivi che si ripresentano a far del male, ecc... Insomma l'ABC del fascino narrativo; della presa sul pubblico. E in "Kill Bill" ,anche questo, lo spettatore se lo gusta proprio. Perchè? Perchè il regista si chiama Tarantino.
Concludendo con i personaggi, anche loro sono una creazione capolavoro del genio tarantinano. Personalmente Uma Thurman non l'ho mai trovata esaltante, ma credo sia l'unica ad essere in grado di fare un film di Tarantino. C'è poco da fare. Solo il suo Regista riesce ad impiegarla consapevolmente in un film. Per il resto i personaggi sono una irrefrenabile e fantastica galleria di caratteri: dalle varie killer-donna ai vari componenti degli "88", ma soprattutto quel poliziotto che incontriamo a inizio film...Stupendo! Lui è il suo "figlio numero uno"! Come numero Uno è questo fantastico figlio di Tarantino.
Menzione a parte per il grande redivivo David Carradine. Anche questo è un gustoso gioco. Stavolta è un gustoso gioco di caratteri, perchè a dare spessore e "idea" ad un film ci pensano tantissimo anche gli attori. Carradine, cattivo tra i più prolifici del cinema, ritorna nelle sue vesti migliori, per autocitarsi: un cattivo di un'epoca che fa un cattivo di un'altra epoca. E' anche questo il segreto del film. Immaginiamo che a fare il ruolo di Bill ci avesse pensato Gary Oldman, uno dei villain migliori sulla piazza: non sarebbe stata la stessa cosa. Perchè? Perchè David Carradine rimanda ad un preciso immaginario: il genere, il cinema tout court. Lo stesso discorso vale per il Bud Spencer di Olmi: è efficace perchè è Bud Spenser. Un grandissimo Foà, o un immenso Proietti, non avrebbero inciso come il grande e kolossale attore di Piedone. Quindi anche Carradine è la chiave di lettura di "Kill Bill", che rimane un grandissimo divertissement sul fare cinema. E' puro spettacolo. Perchè? Perchè il regista si chiama Tarantino, fa cinema, rompe le regole, e gioca con il cinema stesso.
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