Regia di Andy Wachowski, Larry Wachowski vedi scheda film
Matrix Rewatched /2
“La mancanza del favoloso in questi fatti li farà apparire, forse, meno piacevoli all’ascolto, ma se quelli che vorranno investigare la realtà degli avvenimenti passati e di quelli futuri (i quali, secondo il carattere dell’uomo, saranno uguali o simili a questi) considereranno utile la mia opera, tanto basta.”
Tucidide, La guerra del Peloponneso, I 22 [trad. C. Moreschini, 2008, BUR Rizzoli]
Ricaricare, o meglio riavviare, la matrice. Sì. Ma quante volte è già stata riavviata?
Diciamolo subito: rispetto ad una miriade di altri seguiti, questo (insieme al suo gemello) quantomeno un minimo (minimo, minimo) spiraglio di senso lo trova nel finale del progenitore, in quanto ovviamente si lasciava là spazio alla futura guerra contro le macchine con successiva liberazione delle masse di umani “allevati”.
Ciò non toglie che ragioni di carattere meramente commerciale avranno sicuramente avuto molto più peso di quelle artistiche (ma pensa…), tuttavia nelle premesse Matrix Reloaded non lo si può definire totalmente campato per aria e pretestuoso. Nelle premesse, appunto. Perché poi il film in sé, purtroppo, s’avvicina pericolosamente a quella definizione.
Il suo più macroscopico difetto è quello di essere troppo, davvero troppo, dilatato, diluito, prolungato, tant’è vero che la prima mezz’ora quasi induce ad interrompere la visione.
In misura persino maggiore del resto del film è sempre sul punto di scivolare nel kitsch e nel ridicolo (tra un Neo vestito da prete e una sottotrama amorosa da latte alle ginocchia), alla fine toccati ampiamente con l’inutile sequenza a Zion di balli sfrenati e scopatine immancabili: una sorta di tocco “primitivo” in un film di fantascienza pretesa “filosofica”, un ritorno alle origini a suon di bonghi e “canti primordiali”... alé.
Per fortuna da lì in avanti la storia parte, peccato che con un grado di seriosità da far impallidire il primo film, cosa che lo fa come detto sempre e puntualmente oscillare tra il ridicolo involontario e il camp: tra dialoghi forzati e altezzosi, del tutto innaturali; personaggi usa-e-getta che sembrano usciti dritti dritti da una strampalata parodia (del genere della Persephone della Bellucci che in sostanza par messa lì più che altro per mostrare le tette e solleticare di conseguenza certi istinti); parentesi superflue e troppo tirate per le lunghe (vedasi la battaglia con le centinaia di cloni dell’agente Smith, facilmente evitabile semplicemente “spiccando il volo” come infatti dopo 10 estenuanti minuti Neo "incredibilmente" fa [quando già da tempo ormai ci si trova a rimuginare: “E va beh, s’è capito, avete scoperto ‘na nuova meraviglia tecnologica, ma anche basta però adesso eh!”]); recitazione svogliata e, infine, assurdo proliferare di effetti ed effettacci messi lì, vien da pensare, al solo fine di mascherare la scarsa consistenza della trama.
Inoltre, all’epoca saranno state pure innovative – finanche “rivoluzionarie” – dal punto di vista tecnico, ma a questo giro, al contrario che nel precedessore, le scene di lotta risultano viste oggi troppo artefatte: si vede lontano un miglio che le location, i movimenti di macchina e persino gli attori sono interamente realizzati al computer (il che produce il tipico effetto “uncanny valley”, ovvero quella sensazione come di disagio se posti di fronte a volti e corpi che, nello strenuo sforzo di rendersi realistici, finiscono per dimostrarsi più falsi del falso [meglio a quel punto la CGI senza pretese di realismo realizzata ex novo senza importare le espressioni dei protagonisti]). Matrix, al confronto, non solo per via dell'aura di novità ma proprio della costruzione dell’insieme risultava meno “sfacciatamente” fasullo, più credibile, meno straniante. Insomma, siamo di fronte ad un tipico caso in cui less sarebbe stato more.
Anche sul versante narrativo - o meglio sul versante del costante profluvio di citazioni e allusioni e “connessioni” filosofico-cinematografico-letterarie - forse si sarebbe fatto meglio a stringere un poco di più. Visto che, al dunque, di sostanza sostanziale sostanziosa ve n’è… pochina, diciamo.
L’unico fattore intrigante interviene verso la fine di questa prima parte: si tratta, va da sé, dell’idea per la quale la parabola di Neo non costiturebbe altro che un’anomalia “prevedibile e prevista”, messa in conto dal sistema al fine del proprio stesso perpetuarsi; (abbastanza alla larga, insomma, dai banalotti sottotesti misticheggianti, millenaristi e messianici delle origini); l’idea che non importi ciò che lui faccia, perché ce ne sono già stati tanti prima di lui e Matrix è ancora al suo posto; ce ne sono stati tanti, ma tutto è sempre uguale. Il Nietzschiano Eterno Ritorno, la tucididea ciclicità della storia, il gattopardesco “è necessario che tutto cambi perché un bel nulla cambi”. Si credevano di fare la rivoluzione, l’Eletto e compagnia cantante, e invece ora si scoprono solamente minuscoli ingranaggi della Macchina, del Sistema che fanno peraltro funzionare. Però: devastante (si fa per dire). E tanto basta per elevare il film oltre la sufficienza.
Ecco, ma stop. Perché, appunto, per il resto talvolta rischia di farsi sin tedioso e sostanzialmente pallido. Per giunta (aggravante) neppure finisce ed anzi ci lascia ex abrupto con uno stupendissimo “to be continued” che manco ‘na seria televisiva. Decisione, questa, di carattere evidentemente e smaccatamente pecuniario, considerato che – a livello di trama – i due seguiti si sarebbero potuti benissimo ridurre ad uno (magari un pochetto più lungo: due ore e mezza, due ore e quaranta), tagliando recisamente su tutte le perdite di tempo e i giri a vuoto (che coincidono, guarda un po’, proprio con le scene a più alto tasso di ridicule). Ma, si sa, le vie del mercato sono altre. E quindi “pazienza”. Arrivederci alla “prossima recensione in salsa matrixiana": perché sì, badate bene, “ci rivedremo"...
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