Regia di Ang Lee vedi scheda film
Il cinema, estinta (momentaneamente?) la vena degli eroi, si appresta a prosciugare quella dei supereroi allevati dal mondo dei fumetti. La Marvel e altre case editrici sono la nuova cassapanca della nonna dalla quale ripescare i vecchi album, le inverosimili storie di creature disumane e sovrumane, spesso con una doppia personalità. Trasportare l'ingombrante e arrabbiatissimo Hulk, l’incredibile gigante dalla forza devastante, poteva rivelarsi oltre che un “trasporto eccezionale” in cui i computer e i tecnici degli effetti speciali avrebbero potuto essere le uniche vere star del film, un fallimento. Così non è. Il merito va agli effetti speciali e ad Ang Lee. Il reparto tecnologico e visivo ha fatto un ottimo lavoro e il regista ha diretto un film “doppio”, quasi pensando a un pubblico più adulto e ai teenager: azione e sentimento, scene domestiche ed edipiche con due figure paterne (il padre-scienziato e pazzo di Bruce-Hulk-Bana e quello militare d’acciaio di Betty-Connelly) accomunati da un’austera anaffettività, pathos e salti-sfondamenti-capriole-distruzioni-rigenerazioni di pelle e tessuti-voli nell’alto dei cieli-tuffi. La filmografia di Ang Lee non ammette assonanze e analogie tra un film e l’altro (ogni titolo sembra firmato e messo in scena da un regista sempre diverso: un singolare esempio di mutazione controllata) e questa agilità da tigre e dragone gli permette di raccontare la storia di Hulk e del suo alter ego, Bruce Banner (Eric Bana), il placido scienziato, usato, quando era bambino, come cavia di esperimenti genetici dal padre David (figura inesistente nel fumetto che ha debuttato nel 1962), interpretato con toni sinistri e mefistofelici da Nick Nolte, e irradiato dai raggi gamma per un incidente di laboratorio, passando da una trama all’altra, da un testo all’altro senza stabilire delle gerarchie vincolanti. Pensando, come si vede dall’uso ripetuto dello split screen, alle molte angolazioni con le quali si può guardare-narrare la stessa scena, la stessa storia, la stessa emozione. Una moltiplicazione dei punti di vista che riproduce le geometrie degli album a fumetti e scava solchi profondi e teorici sul problema della trasposizione. Hulk è un film doppio che soffre di qualche lunghezza proprio per questo duplice binario lungo il quale corre sulle tracce del malinconico Hulk e si ferma per sottolineare l’angoscia e la “mancanza” che si nasconde dietro i superpoteri di un uomo di scienza, razionale e primitivo, brutale e pieno di tenerezza, come un sentimentale King Kong verde-giada, per la sua collega (una meravigliosa Jennifer Connelly, molto brava nella versione originale). Un mostro che rimpicciolisce per amore.
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