Regia di Gore Verbinski vedi scheda film
Lo sceneggiatore Ehren Krueger è riuscito in quel compito difficilissimo che dovrebbe essere la meta principale di ogni remake che si rispetti: l’adattamento. Perché se è vero che il Ring americano è molto simile a quello giapponese (alla base, sempre il romanzo di Suzuki Koji), è nel contempo anche diversissimo, al di là delle vere e proprie aggiunte o sottrazioni. La stessa sequenza iniziale ne è la conferma: identica situazione in entrambi, ma il contesto ambientale e “culturale” è differente. Per Krueger e Verbinski, l’incipit serve dunque a identificare un immaginario horror che durante il film, a ritroso, toccherà molte tappe, lambendo perfino il gotico, e la storia della videocassetta assassina a scavare nel cuore di una forma e di un genere. The Ring diventa allora un horror profondamente americano, che indaga nell’animo soprattutto di una terra. Il terrore viene dall’humus: per questo, è “circolare”, a spirale, senza fine. Tra le tante opzioni di lettura teorica, The Ring coglie nel segno di uno sguardo complesso sull’orrore mediatico occidentale. I toni plumbei e senza orizzonte non sono di plastica, e poco importa se la paura è minore o maggiore rispetto alla pellicola originale (i trucchi sono di Rick Baker). Incredibile la sequenza del cavallo sul battello, e molto funzionali le immagini della vhs.
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