Regia di Gore Verbinski vedi scheda film
“The ring” è un film cult firmato Gore Verbinski. La trama narra di una videocassetta, cito testualmente infischiandomene dell’eleganza sintattica, “che se la guardi muori!”. Su questa idea di fondo, particolarmente elementare nella sua originalità, si fonda una trama che da scorrevole ed improntata esclusivamente sul filone horror, va via via tramutandosi in una complicata e fitta investigazione tipica di un thriller. Protagonista è Rachel (Naomi Watts), giornalista che nell’indagare sulla misteriosa morte della nipote, finisce per ritrovarsi immischiata fino al collo in una vicenda misteriosa e terrificante al tempo stesso: la videocassetta riguarda una certa Anna Morgan, allevatrice di cavalli morta suicida qualche anno prima, nonché sua figlia Samara, rinchiusa in un ospedale psichiatrico quando era ancora bambina. Nei sette giorni che dividono Rachel dalla sua morte certa, la giornalista avrà il compito di svelare il mistero, soprattutto perché l’amato figlio, suo malgrado, ha visionato la cassetta ed è altresì in pericolo di vita.
Per “The ring”, l’esser diventato il “feticcio” di un’intera generazione di cinefili non risiede esclusivamente nel fatto che regia, sceneggiatura ed interpretazione risultino estremamente godibili, quanto nel fatto che il film sia stato oggetto di un’iniziativa commerciale senza pari. Quello che si era fatto per “The blair witch project”, ossia una campagna mediatica spassionatamente onnipervasiva, penetrante, ossessiva, è stata ripetuta per questo film, tra l’altro remake della versione giapponese diretta dal bravo Hideo Nakata. Dal sito internet, ai messaggi sui cellulari, dai manifesti inquietanti ai gadget più impensabili, l’uscita di “The ring” ha provocato, giocoforza, una curiosità spasmodica tramutatasi in incassi da record. L’accostamento con “Il mistero della strega di Blair”, sul piano puramente artistico è improponibile perché in “The ring” esiste una storia, che è appassionante e curata. Il paragone riguarda invece la campagna pubblicitaria che ha accompagnato il film. Da questo punto di vista, “The ring” è stato aiutato dalle tematiche affrontate: nel film si parla di videocassette e di telefoni: elementi di forte diffusione nell’epoca della multimedialità; non è un caso che proprio la multimedialità sia stato l’elemento che maggiormente ha influito sulle principali suggestioni degli spettatori: un esempio su tutti riguarda i visitatori del sito internet del film, costretti a guardare uno schermo simile a quello contemplato da Rachel e misteriosamente contattati qualche secondo dopo sul proprio cellulare...
In senso generale, l’importanza della pellicola sta nell’aver aperto una prolifica quanto abusata prassi nella produzione cinematografica dei primi anni del 2000, con due conseguenze forti. Da un lato il fenomeno “The ring” ha valorizzato (oltremisura) molti film giapponesi, facendo diventare la patria del Sol Levante la fucina più feconda di film dell’orrore: quasi come se nel resto del mondo non si sapessero fare più film horror: la conseguenza è che tra il 2002 e il 2005 ogni film dell’orrore proveniente dal Giappone veniva visto come un cult da vedere a tutti i costi. La seconda conseguenza sta nella prassi secondo cui ogni film con le 3 fondamentali caratteristiche (ossia giapponese, dell’horror e “post-The Ring”) dovesse essere necessariamente oggetto di remake americani.
Questi due effetti, insieme, hanno prodotto una spirale di produzioni che spesso non arrivavano nemmeno a potersi definire film: vedi, come esempio tipico, il ridicolo “The Grudge”, letteralmente una boiata inguardabile. Proprio per quest’ultimo aspetto, legato alla dimensione produttivo-distribuitiva del film, occorre affermare che, aldilà dei giudizi di valore artistico, “The ring” rappresenta senza dubbio una pietra miliare nella cinematografia post-moderna.
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