Regia di Curtis Hanson vedi scheda film
A prescindere dall’interpretazione di Eminem (riuscita, ammettiamolo), quello che non va di 8 Mile è l’elementarità d’approccio a un mondo ricchissimo, intenso e stimolante, il rap. Perché non basta “intenderlo” come un universo di lotta anche fisica: bisogna avere sangue (per non dire altro) a descrivere qualcosa di più di un quadretto alla fin fine conciliante e perfino buonista. Va bene che l’operaio Jimmy sceglie, dopo la vittoria sul palco di quartiere, la permanenza nel suo mondo di miseria e solitudine, alla faccia del successo. Ma non fatevi ingannare: è soltanto autocommiserazione, il piagnisteo di un povero cristo che vuole bene a tutti, anche alla mamma alcolizzata e idiota (una patetica Basinger). Se poi consideriamo che la vicenda, da qualunque parti la si guardi, è ispirata alla vita reale dell’artista (ma lui, guarda caso, smentisce), e dunque a uno che ha miliardi e ogni riflettore del pianeta addosso, lo scarto finzionale viene inevitabilmente meno, e la puzza di fasullo aumenta. Si potrebbe leggere 8 Mile come un “gang-movie”, opera su un’alternativa di battaglia metropolitana: al posto di cazzotti coltelli e proiettili, una raffica di battute (spesso non meno dolorose e sanguinose). L’altra faccia di I guerrieri della notte: allora sì che diventerebbe un bel film. Purtroppo, somiglia più a un Flashdance macho.
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