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La signora cosa aveva dimenticato?

Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film

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La recensione su La signora cosa aveva dimenticato?

di OGM
8 stelle

Una colorita miniatura dell’ambiente borghese del Giappone, in cui uomini e donne appartengono a mondi separati; i primi appaiono perlopiù succubi e poco brillanti, le seconde autoritarie oppure indisciplinate, sospese tra l’adesione ad una femminilità tradizionale ed il desiderio di trasgressione. La parte maschile, che, in questo film, è impersonata dal professore di medicina Komiya e dal suo giovane assistente Okada, è una minoranza rigidamente inquadrata nel proprio ruolo professionale, al di là del quale si estende la noia dell’abitudine. La parte femminile è, per contro, un vivaio di fantasia e frivolezza, che si esprime prevalentemente in chiave casalinga e salottiera, ma che l’adolescente Setsuko, nipote di Komiya, reinterpreta come il gusto di sognare, di trasgredire, di sentirsi libera. L’umanità ritratta da Ozu è la solita famiglia allargata ante litteram, che si ritrova a dividere gli stessi spazi e quindi le stesse esperienze di vita quotidiana, drammaticamente segnate dalle incomprensioni. Tipico dello stile del regista è anche il finale  chiarificatore, in cui il dialogo di riconciliazione sostituisce la morale, indicando nella  pazienza, nella moderazione e nella tolleranza le chiavi della serena convivenza. A queste virtù si aggiunge, in questo caso, un velato elogio della menzogna, che talvolta offre un’innocente via di fuga dalle situazioni imbarazzanti, e spesso, nella forma dell’adulazione, può essere un efficace strumento per mantenere l’ordine e la pace. Il rapporto coniugale tra il professore e la moglie è il campo di battaglia in cui l’arma vincente è la resistenza passiva, ossia la finta obbedienza e la falsa ammissione di colpa. Questi mezzi subdoli arrivano a fare del bene, scongiurando i conflitti ed evitando le lacerazioni provocate da un’aperta ribellione. Le quattro pareti domestiche sono il focolaio di una guerra senza spargimento di sangue, che riproduce in piccolo le tensioni di una società in trasformazione: se, nel mondo esterno, la divisione tra i sessi è parte dell’organizzazione generale (che affolla di uomini le aule universitarie e di donne le sale dei teatri), nell’ambiente privato le differenze vengono a diretto contatto, facendo scattare le rispettive rivendicazioni. Nell’intimità, tesi ed antitesi si parlano, e pervengono ad una sintesi incapace, forse, di tradursi in una soluzione teorica ad ampio raggio, ma comunque adatta a sistemare le cose in quel particolare contesto. La commedia, per Ozu, è un paesaggio affollato, dall’orizzonte ristretto, in cui, tra le stanze degli appartamenti ed i locali dei bar, le persone si incontrano e si scontrano per rimescolare le idee. Come nelle sue principali opere successive, in questo film il realismo è vivacizzato da una sorta leggerezza didattica, che, come un venticello, solleva il velo della futilità per mettere a nudo la semplice verità che giace sul fondo. I personaggi si affannano goffamente intorno alle loro questioni personali, mentre quel tesoro di saggezza si trova, in effetti, in mezzo a loro, pronto ad emergere non appena gli animi decidono di placarsi.

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