Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
Sarà anche perché prima c'è stato il più serio Mi sono laureato, ma…, di cui riprende il tema di fondo della disoccupazione dei laureati, ma a me questo non pare affatto spensierato e privo di interessi sociali come dice Tomasi; al contrario, vela di tristezza le pretese di spensieratezza degli studenti. Forse la stessa tristezza di fondo che dava unità a Giorni di gioventù, che sembrava svolazzare fra bocciature e delusioni amorose, e forse anche a Un bambino che non si ferma mai, in cui in fondo il rapinatore è un povero diavolo che "ce la mette tutta" (secondo una norma morale citata ripetutamente in C'era un padre). Non basta mettercela tutta, e non è psicologicamente pagante, ma questo non rende pagante la vita disimpegnata degli studenti; anzi, la giustificazione consolatoria della bocciatura che consente di rimandare di un anno la verifica della difficoltà del vivere e del lavoro non consola affatto. Poco per volta sembra emergere, quasi per caso, e imporsi, l'importanza del volersi bene come unica soluzione al male del vivere. Ma non in questo film… dove verifichiamo solo l'inutilità pratica della laurea e forse anche dei corsi universitari e degli esami, se basta scriversi una sintesi sui polsini della camicia per passarli e basta una lavanderia inopportuna per cancellare ogni memoria e provocare la bocciatura.
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