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Il ragazzo dai pantaloni rosa

Regia di Margherita Ferri vedi scheda film

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La recensione su Il ragazzo dai pantaloni rosa

di lamettrie
9 stelle

Impossibile non piangere alla fine.

Un film fine, e appropriato, su una miriade di tematiche importanti, sia eterne che dell’attualità: adolescenza, pressione sociale, idiozia e danni del conformismo, bullismo e cyberbullismo, sofferenze familiari che portano al divorzio.

Innanzitutto è un film sugli adolescenti: colti nei loro tormenti, inqueti, incapaci di leggere adeguatamente i travolgenti cambiamenti del loro corpo, della loro mente, e della realtà che li circonda. Oppressi da un inestinguibile bisogno di riconoscimento sociale, intesa come amicizie: evitare la solitudine, accettando anche le peggiori compagne, se proprio serve. Il film della Ferri mostra bene i disastri della logica del branco: che porta ad affiliarsi ai leader peggiori, capaci di sfruttare bene le fragilità di ciascuno, al fine di sentirsi temuti, e superare così – anche se solo in apparenza – la propria disperazione.

Adolescenti incuriositi dalla sessualità, rispetto a cui non hanno spesso un orientamento ben definito. Il ragazzo in questione ha tratti più eterosessuali, eppure viene preso di mira per una presunta omosessualità, che invece era solo minoritaria e latente.

Ottima anche la resa della falsità e della doppiezza del leader negativo: manipolatore, sadico, opportunista, falso.

Tanti aspetti sono commuoventi: compresa la dialettica tra il voler capire – il protagonista chiede sempre “perché?” a fronte delle delusioni che ha, come la separazione dei genitori e l’amore non corrisposto – da una parte, e dall’altra il bisogno del contatto fisico, in funzione di ricerca di affetto – quanti abbracci e contatti cerca -, declinata anche nel bisogno di essere accettato anche per il suo “sentirsi bambino”, che la è naturale regressione che è sano avere per sentirsi amati (come mostra il suo bisogno delle giostre).

La storia – purtroppo vera – mostra i limiti caratteriali di un ragazzo che pure è intelligentissimo – e a scuola andava benissimo; lodevole poi la sua passione “adulta” per il cinema – ma che non riusciva a reagire a sufficienza alle avversità della vita. Appare un po’ improbabile però che, a fronte di tanti atti di bullismo subiti – compresi anche reati sotto gli occhi di tutti – non abbia attorno la presenza degli adulti che lo sorreggano nell’affrontare ciò. Un po’ poco credibile l’assenza degli insegnanti – tutto quello scempio umano avveniva infatti a scuola – come anche dei genitori, che pure sono caldi e affettuosi con lui, al di là dei loro tremendi litigi.

Splendida la circolarità del film, centrata sull’affetto della madre: nella prima scena lo mette al mondo – con la terribile fatica che quell’amore comporta -; nell’ultima la si vede nel dolore peggiore che - a detta dei più competenti in materia, ovvero gli psicoterapeuti - un essere umano possa sopportare (la morte di un figlio, per di più giovanissimo, e per di più suicida in casa propria).

Straordinariamente brava la sedicenne Sara Ciocca, nei panni dell’amica del cuore del protagonista. Ma quasi tutti recitano bene: alcuni molto bene, come il protagonista Samuele Carrino e sua mamma Claudia Pandolfi, in parti assai difficili.

Profondissimo, onestissimo e finissimo, questo film (tratto dal libro scritto proprio della madre del protagonista, Teresa Manes, che volle anche reagire al torto giudiziario della sentenza, che negava omofobia e bullismo) è un pugno nello stomaco: pur lavorando sull’ellissi, sull’introspezione piscologica, e senza esibire mai nulla di eccessivo.

Un ragazzo buono e intelligente, ma incapace di reagire al male terribile che tante volte è stato somministrato. E che purtroppo non stupisce più di tanto in Italia: da noi la superficialità, la grossolanità, la rozzezza di chi si vanta “siamo animali” conduce al conformismo di rapporti inautentici. La sopravvalutazione dell’apparenza, del giudizio altrui, incoraggia incoscienza e irresponsabilità.

Per tradizione (dis)educativa.    

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