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Il seme del fico sacro

Regia di Mohammad Rasoulof vedi scheda film

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La recensione su Il seme del fico sacro

di leporello
7 stelle

Pur essendomi voluto unire (con parsimonia) al coro di consensi internazionali che già echeggia (e che spero voglia ulteriormente risuonare dopo l’uscita prossima ventura nelle sale italiane nonché dopo la notte degli Oscar americani), dati per già elencati e sviluppati i meriti politici, sociali, nonché artistici del film in questione, e visto anche che le (poche) dissonanze (dal coro) non mancano anche fra i nostri amici commentatori di FilmTv (Maurizio 73, col suo commento, tira una stilettata che merita a mio avviso di essere raccolta) lascio alla vostra attenzione (se vorrete darmene) alcune considerazioni:

 

1) Il babbo cattivo.

 

Dare per cattivo il babbo è un errore. E’ un errore in relazione alla sceneggiatura, ed è un errore in termini umani. In relazione alla sceneggiatura Iman (il babbo) è dato da subito come soggetto debole: innanzitutto la sua promozione è stata ottenuta su basi incerte, non tutti “in ufficio” lo amano, anzi alcuni lo tengono d’occhio per vedere se non sia il caso di trovarne presto uno migliore (magari amico di amici migliori) da mettere al suo posto. La sua promozione, insomma, odora un po’ di trappola, tipico modo d’agire di un regime autoritario; secondariamente, Iman esprime presto tutta la sua difficoltà ad operare così come gli viene chiesto di fare, e rivela sempre, laddove può, la sua difficoltà ad esercitare il suo nuovo ruolo, specie quando si tratta di sottoscrivere terribili condanne a morte terribili in casi non così definiti e chiari. Sul lato umano/familiare devo dire che in certe scene in cui “le sue donne” (in primis la figlia maggiore) si provano a tenergli testa, il comportamento di un babbo cattivo, fiero servo di un regime tirannico e dispotico, sarebbe stato quello di gridare, menare le mani, spedire a letto qualcuno con un occhio nero, mentre invece il nostro amico (si fa per dire) appare sempre conciliante, paziente, certo sempre saldo sulle sue posizioni ma mai con un atteggiamento smaccatamente repressivo.

 

2) le pie donne.

 

Tra le tre pie donne si aggirano come minimo due soggetti non troppo chiari. Fatta salva la figlia maggiore (unica senza macchia), della moglie si può cogliere negli sguardi e negli atteggiamenti dell’ottima interprete un interessamento peloso agli avanzamenti di carriera del marito (“ti ricordi, caro, che mi avevi promesso la lavastoviglie?”), per difendere i quali non esita (se pur con tatto e con amore di madre) a restringere gli spazi di vita delle sue figlie. Della figlia piccola poco vorrei dire non intendendo spoilerare, ma il suo nascondersi dietro l’innocenza della tenera età incurante delle conseguenze che tale nascondimento provocherebbe anche e soprattutto nei confronti delle altre pie donne non la rende così meno esecrabile del suo babbo.

 

3) la concreta evoluzione.

 

Dati questi presupposti, inserita la nostra vicenda familiare nel contesto sociale iraniano d’oggi (a proposito: impressionanti le scene “vere”, rubate alla cronaca per essere mostrate al pubblico attraverso un film), non risulta troppo lineare, né logico il finalone stile spy-story (ottima la location, ma un po’ troppo stucchevole il gioco prospettico dell’inseguimento/fuga), in cui all’improvviso il babbo, da babbo/marito), diventa nemico/mostro, necessitando tale passaggio, peraltro, di ricorrere ad invenzioni scritturali piuttosto improbabili al limite del risibile (che genio di tecnico la piccola!), e meritandosi un ignomignoso cumulo di detriti come compenso finale e definitivo.

 

Insomma : questo film (a cominciare dall’indovinatissimo titolo e dalle didascalie iniziali che lo spiegheranno) è senz’altro bello. E’ anche crudo, a tratti lento e insistente, ma ha un’ipocrisia di fondo che non può non restare attaccata alle radici del seme, infestando anch’essa di rimando e soffocando un incolpevole successo che pure gli auguro.

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