Regia di Zhang Yimou vedi scheda film
Sorvoliamo sull’ apparato promozionale italo-occidentale, con quel «Quentin Tarantino presenta» come ipoteca di capolavoro “a prescindere” e sugli aspetti politici, peraltro discutibili. Lasciamo perdere La tigre e il dragone, ed è meglio lasciar perdere pure Rashomon. Concentriamoci invece sulla forma e sul suo significato interno, su cui comunque pare puntare Zhang Yimou. Certo che Hero è visivamente bello, bellissimo da vedere. È coinvolto il meglio del cinema cino-hongkonghese: Christopher Doyle alla fotografia, Ching Siu-tung alle coreografie, cast stellare (il migliore Chen Dao-ming, l’imperatore). Il problema è che Hero recupera il wuxiapian secondo parametri esclusivamente estetici. Per cui la volatilità dei personaggi, i ralenti, i tendaggi e gli elementi naturali non trovano mai quell’antagonismo terragno che è cifra indispensabile del wuxia, che è e resta cinema di corpi e di carne che lottano col mondo delle cose. Hero è impaginazione scolastica di un sentire e di una visione. Si finisce nel new age, che è quanto di più lontano dalla filosofia, anche stilistica, del genere. Non si sente mai un battito di cuore, perché il romanticismo, come il resto, si rivela carta da regalo. Non abbiamo visto La foresta dei pugnali volanti, ma se la via per rinnovare i fasti di una storia del cinema è questa...
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