Regia di Gints Zilbalodis vedi scheda film
Poetico. Suggestivo. Filosofico.
Questo splendido film d’animazione, guidato dal lettone Zilbalodis, ci ricorda che siamo animali, e quanto perciò dobbiamo imparare dagli altri animali.
Ottima l’assenza di dialoghi: il punto di vista è proprio quello zoologico, avvalorato dal punto di vista offerto dalla “camera” in tante delle scene di grande pericolo.
La natura viene mostrata per quella che è: buona e cattiva nel contempo. Ma in realtà, cioè in sé stessa, non è né buona né cattiva. È quello che è, e basta: può succedere di tutto. Ma dal punto di vista di chi vive e/o subisce tali eventi, questi ultimi appaiono via via o fortunati o sfortunati, provvidenziali o disastrosi. Eppure non c’è nessuna intenzionalità in ciò: la natura non vuole né colpire né favorire. La sceneggiatura, ricca di scene di pericolo, lascia una giusta angoscia, parzialmente.
La quale si sposa con aspetti meravigliosi: tante scene mostrano una natura meravigliosa, solare. Ad esempio, lo splendore della balena, e la sua rassicurante mole – quando ciò torni a vantaggio, per il riparo che offre a chi è piccolo, e non certo per interesse della balena medesima! - si sposa con il terrore che essa semina attorno, e con la tristezza per la sua morte.
Altro esempio: la pesca del gatto, che offre pesci ai suoi amici: terribile per i pesci, lodevole per la sua generosità. Pesci che sono tanto belli, a vedersi, quanto tristemente cibo per altri.
Il caso si mostra nella imprevedibilità, in ultimo, degli eventi: l’acqua si alza o si abbassa, e determina disastri inattesi come anche svolte desiderate ma quasi insperabili, ormai.
Struggente è la maggiore possibilità di aiuto che ha il gatto, a volte l’unica: un miagolio tenue; ben poco, spesso, per le reali necessità.
Non c’è una denuncia delle responsabilità umane sui cambiamenti climatici in senso stretto; eppure viene indicata, sottotraccia. Infatti gli esseri umani sono spariti, e ne restano solo tracce consunte: dei loro oggetti, delle loro (splendidamente raffigurate) architetture – spettrali, per l’assenza di chi le doveva vivere -. Che l’innalzamento dei mari – il vero problema di questo film – dipenda dagli esseri umani, è peraltro abbastanza evidente.
Di positivo c’è anche la necessità – o meglio, la preferibilità – della cooperazione. Infatti, gli animali superstiti sono in natura rivali tra loro, o comunque portati dall’istinto a stare lontani gli uni dagli altri. Su questo si può ravvisare una forzatura, l’unico difetto della sceneggiatura – assieme alla difficoltà nell’interpretare in modo chiaro certi eventi -: una proiezione antropomorfa, che porta gli animali a cooperare pur senza essere dello stesso branco, e men che meno della stessa specie. Esemplare la scena, epica, del salvataggio dalla barca sospesa tra i rami. Ma, anche se fosse un invito agli umani di cooperare fra loro, ciò non toglie che la cosa strida, trattandosi qui del punto di vista esclusivo di animali.
Oltre che le immagini, meravigliose splendide sono le musiche.
Ma qui si è ai vertici dell’animazione: proprio nella sua capacità di mostrare ciò che i limiti tecnici non possono mostrare, di una realtà che è ben più grande del raffigurabile. E, ancor di più, nella sua capacità di mostrare ciò che la rappresentazione attendibile non può certo mai mostrare, a prescindere: gli stati d’animo inespressi, il sogno…
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