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Io non ho paura

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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La recensione su Io non ho paura

di FilmTv Rivista
8 stelle

Una storia di orchi: un omaccione in mutande e canottiera che occupa imponente il bagno di casa e tiene una pistola nella valigia, un altro più mingherlino e incattivito che si chiama il Teschio e, anche lui in mutande, canottiera e stivaletti anfibi, balla e canticchia Parole, parole di Mina e Alberto Lupo in mezzo alla campagna, un guardiano di porci che sembra uscito da un incubo e ha ormai la stessa faccia degli animali che sorveglia. Persino il proprio padre, tanto atteso e giocoso e generoso, può diventare l’orco che divora. Sospeso tra il sole accecante di un’estate meridionale riflessa sul grano e l’oscurità fonda di un buco scavato nella terra e coperto da una lamiera, Io non ho paura, il film che Gabriele Salvatores ha tratto dal romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti (che l’ha sceneggiato, con Francesca Marciano), ha l’andamento pigro e casuale e poi pauroso e “predestinato” di una fiaba. Nel mezzo dell’estate, un bambino bruno che ha poco da fare se non giocare randagio con gli amici scopre in fondo a un buco un altro bambino, biondo, tenuto alla catena, affamato, sporco, ormai quasi incapace di vedere. Si chiamano Michele e Filippo, hanno la stessa età e sanno tutti e due che l’unica maniera per sopravvivere alle loro paure è affidarsi all’immaginazione, agli orsetti lavatori, agli angeli custodi, alle storie che ci si racconta nel buio e alle filastrocche con le quali attraversare le strade invase dalla notte. Ma gli esorcismi che tengono indietro i mostri misteriosi dell’infanzia non proteggono invece dagli orchi veri, quelli più pericolosi, i grandi. Il viaggio di Michele e Filippo è quello alla scoperta della brutalità del mondo reale, nascosta dietro le fattezze e i luoghi più familiari. Un viaggio che, prima o poi, arriva in ogni infanzia. Io non ho paura vede con i loro occhi, sente con le loro sensibilità, capisce al volo, come tutti i bambini capiscono, molto di più di quanto i grandi non credano. Ha la loro lealtà, la loro fragilità (un grande segreto in cambio di una macchinina, lo stesso segreto in cambio di una vera lezione di guida), la loro incosciente generosità. Il grande merito di Salvatores è di aver fatto un film esattamente ad altezza di bambino, di aver lasciato ai grandi (tutti i grandi) lo spazio che si meritano: orchi appunto, minacciosi, o stupidi, o, sempre, vigliacchi. Mentre i bambini cosa sia la vigliaccheria non l’hanno ancora imparato.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 12 del 2003

Autore: Emanuela Martini

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