Regia di Spike Lee vedi scheda film
Ultime 24 ore di uno spacciatore prima di scontare una pena detentiva di sette anni, dalla quale uscirà presumibilmente distrutto nel fisico e nell’animo: rivede in flashback il giorno in cui è stato arrestato e quello in cui ha conosciuto la fidanzata, che ora sospetta di averlo tradito; sfoga la propria rabbia recitando allo specchio una colorita dichiarazione di odio per New York e per tutte le etnie che la popolano; trascorre la sera con i suoi due migliori amici, un broker rampante e un insegnante frustrato invaghito di un’allieva; soprattutto ripensa agli errori commessi in passato, prova l’angosciante consapevolezza di aver meritato la condanna, di aver distrutto la propria esistenza per avidità, e si arrovella nel disperato desiderio di tornare indietro e di prendere una strada diversa. Arriva così la venticinquesima ora, quella non segnata dalle lancette di nessun orologio: attraversare il deserto e fermarsi in un minuscolo paesino, fondato da altri fuggiaschi in altre epoche, dove poter ricominciare da capo in mezzo a gente sconosciuta; veder crescere una nidiata di figli e nipoti, ai quali raccontare tutto prima di morire; vivere una vita giusta e sana, senza rimpianti né rimorsi, e poi andarsene in pace con il mondo. Anche se Spike Lee non insistesse sulle macerie di Ground Zero (due fasci di luce puntati verso il cielo notturno, alla fine dei titoli di testa), sarebbe ugualmente chiaro che sta parlando dell’America ferita dall’11 settembre: il tipico tema della seconda opportunità si traduce così nel sogno di una rinascita nazionale, e l’elaborazione di un lutto privato assume una dimensione collettiva. Sensi di colpa, voglia di cambiare il corso della storia, nostalgia per lo spirito originario dei pionieri si intrecciano in un grandioso finale prima di tornare bruscamente alla realtà, a una prigione dalla quale si uscirà distrutti nel fisico e nell’animo.
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