Regia di Spike Lee vedi scheda film
Ho visto il film un paio di sere fa e ne ho letto alcuni pareri pro e contro. Premetto che io mi annovero tra i favorevoli, anzi, con il passare dei minuti le sequenze erano sempre più coinvolgenti e cariche di significato, fino al vero e proprio “ coup de teatre” della venticinquesima ora che, seppur irreale, ha lasciato uno spiraglio di conforto su un potenziale epilogo che avrebbe avuto una sua ragione d’essere.
Condivido in toto gli elogi al cast, a Lee in primis e alla indubbia efficacia della sceneggiatura di David Benioff (che è anche l’autore del libro da cui è tratto il film). Il mio vorrebbe essere un commento moderatamente fuori dal coro – non mi arrogo il merito di possedere la verità - semplicemente ho recepito, nell’ultima giornata da uomo libero di Monty, sensazioni in parte diverse da quelle espresse per la maggiore. Nelle sequenze, con i relativi dialoghi, girate nell’appartamento a fronte di Ground Zero, ad esempio, non vedo “ distruzione”, e nemmeno la percepisco nelle altre sequenze del film, anzi mi parrebbe semmai, nel vedere gli operai al lavoro di notte alla luce delle fotoelettriche, un inno alla vita che ricomincia e che non si lascia svilire dalle avversità. Mi gratifica vedere Monty attraverso il filtro attenuante della brava persona che, per una serie di circostanze – peraltro corroborate da sue scelte poco meditate - ha condotto uno stile di vita che potremmo definire “borderline”. Il suo monologo di fronte allo specchio, dove impreca con mezzo mondo, ha una sua logica proprio nelle parole da lui pronunciate, e questa logica origina dalla constatazione di quanto sia facile e quanto sia diffuso il malcostume (accenna a tutte le solite nefandezze, dai preti pedofili ai poliziotti corrotti ecc), lui in fondo non è peggio di molti personaggi che in galera raramente mettono piede. E’ vero, si è arricchito con un’attività illecita spacciando droga, ma in vari passaggi del film si evince che in fondo è un buono (i suoi dialoghi con gli amici, con il padre e, dipanati i dubbi, anche con Naturelle, finanche la sincera preoccupazione per le sorti del suo cane). Peraltro non afferma che la pena comminatagli non sia giusta, quello che eticamente e senza remore non si può non condividere consiste proprio nel pensiero:“ perché a me si e a tutti quegli altri no”.
Ancor di più potremmo sottolineare che non è la durata della pena - sette anni- a preoccuparlo maggiormente, quanto la “qualità diabolica” di quest’ultima fin dai primi giorni, motivo per cui elabora il paradossale escamotage di farsi picchiare a sangue dall’amico Frank. Due parole le vorrei spendere per la vicenda Jacob / Mary da più parti tacciata come superflua o addirittura d’intralcio alla vicenda Monty: con un’ottica più grandangolare potremmo considerarla assolutamente pertinente, in quanto, attraverso questo episodio vissuto in discoteca tra l’integerrimo professore - sulla cui rettitudine morale non ci sono dubbi - e la sua allieva minorenne, Lee ben evidenzia come non ci siano certezze assolute a priori e, in tal senso, chiunque può potenzialmente cadere in momenti di debolezza. Abbondano gli esempi, anche a livello politico al di qua e al di là dell’oceano, a ricordarci la solita frase “ Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, quindi Monty e Jacob non sono un’eccezione ma due fra i tanti. Tornando all’inizio di questa mia mi piace pensare che, proprio grazie alle sopracitate considerazioni, il sogno della venticinquesima ora possa non essere stato solo tale, - considerando che umanamente e fuori da ogni dubbio, la realtà di ciò che attende Monty in galera sia incontestabilmente sproporzionata alla colpa -. E’ vero, abbiamo l’immagine finale del suo viso tumefatto in auto, ma non lo vediamo entrare in carcere. Quindi intravedo in questa “fuga psicogena” un finale aperto, e io voto per una “rieducazione soft” nel paesino in mezzo al deserto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta