Regia di Spike Lee vedi scheda film
“C’e’ mancato poco…” Che bello sarebbe tornare indietro, al principio di tutto, all’inizio del Sogno, quando c’era solo il deserto. Il finale della “25° ora” e’ uno dei momenti piu’ alti raggiunti dal cinema americano negli ultimi anni. La parabola di Monty e’ una metafora (anzi, una sineddoche) dell’America (o, meglio, dell’intera civilta’ occidentale) risvegliatasi bruscamente dopo l’11 settembre. Rabbia, impotenza, senso di colpa, paura, disperazione, sospetto, autodistruzione, dolore: questi gli umori dominanti nel film di Spike Lee. Ma c’e’ anche spazio per momenti di distensione umoristica e sentimentale. Tracce di noir, di road-movie e di Scorsese, disseminate in un affresco ricco e profondo, che evita ogni forma di retorica, di demagogia e di autocommiserazione (persino nella scena-madre dell’invettiva, scomposta e impulsiva, del protagonista nel bagno del bar di suo padre). La tenuta stilistica e’ perfetta; la complessa sceneggiatura e’ sostenuta da una regia che ne sa cogliere e mettere in evidenza gli aspetti piu’ importanti. “La 25° ora” e’ lo sfogo amaro di una coscienza (individuale e collettiva) che, dilaniata dai rimorsi e incapace di vedere una luce alla fine del tunnel di odio e infelicita’ che si ritrova davanti, ha il coraggio di guardarsi allo specchio. Monty Brogan e’ il Travis Bickle del 2000: se il DeNiro di Taxi Driver viveva in un mondo in attesa dell’Apocalisse, l’Edward Norton della “25° ora” raccoglie i cocci di una catastrofe gia’ avvenuta. Per poter ricominciare da zero. Per avere un’altra possibilita’. Per fare tutto come “andava fatto”.
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