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Confessioni di una mente pericolosa

Regia di George Clooney vedi scheda film

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La recensione su Confessioni di una mente pericolosa

di FilmTv Rivista
8 stelle

“Pisello alla fragola” Barris (nella vita Chuck) esiste davvero. Ha 73 anni e vive a New York di rendita del suo glorioso passato televisivo, e forse non solo. Nella sua ”autobiografia non autorizzata“ racconta: «Sono responsabile di aver inquinato l’etere con dell’intrattenimento puerile e intorpidente. Inoltre, ho ucciso trentatré esseri umani». Infatti, Barris non è stato solo l’inventore e spesso il conduttore di spettacoli televisivi come The Gong Show e The Dating Game (arrivati più tardi in Italia come La corrida e Il gioco delle coppie), ma sostiene di essere stato nello stesso periodo, gli anni ’60 e ’70, un killer assoldato dalla Cia e di aver sfruttato le ”trasferte“ dei suoi giochi (facendo l’accompagnatore di coppie non sposate nei viaggi premio) per eliminare, con un alibi di ferro, i bersagli segnalati dall’Agenzia. Come faccia Barris a essere ancora vivo, vegeto e in circolazione è il vero mistero di tutta la sua storia, che tuttavia è uno spaccato notevole di paranoia americana. Barris comincia a scrivere Confessioni di una mente pericolosa quando va in pezzi, quando arriva all’età in cui ti accorgi che «il ”potresti essere“ va a sbattere contro ciò che sei stato. Non eri Einstein. Non eri niente», e il film di Clooney lo riprende come un Lenny Bruce a fine corsa, capelluto, abbrutito, ferito, asserragliato in una camera d’albergo. Poi, in un andirivieni tra passato e presente, con il viraggio in seppia che si scontra con i colori pop anni ’60, con il grigiore della Helsinki e della Berlino Est dei viaggi premio che cozza contro i cromatismi hippie che invadono gli studi televisivi e le case americane, ricostruisce una vita cui è mancata la tragedia per essere eccellente, e che perciò non è altro che una tremenda parabola di medietà, ricordando la quale, alla fine, da vecchi: «Vince chi non si fa saltare le cervella. Il premio è un frigorifero». Parola di Chuck Barris, oggi, davanti alla macchina da presa. Una sceneggiatura di ferro (di Charlie Kaufman, autore di Essere John Malkovich e Il ladro di orchidee), un protagonista (Sam Rockwell) che ha stampati in testa i giovani Hoffman/Pacino/Nicholson, un regista (George Clooney) che certamente si ricorda di Lenny, Conoscenza carnale, Il re dei giardini di Marvin. Un film ambizioso e imperfetto (con qualche preziosismo di troppo, qualche eccesso di scrittura e rifinitura), che però ha l’enorme pregio di essere pessimista, non conciliatorio, sgradevole e non concluso.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 18 del 2003

Autore: Emanuela Martini

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