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Confessioni di una mente pericolosa

Regia di George Clooney vedi scheda film

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La recensione su Confessioni di una mente pericolosa

di ROTOTOM
8 stelle

Ennesimo, stupendo viaggio nella mente, pericolosa in quanto pensante e grandiosamente creativa, del genio di Charlie Kaufman che prende spunto da una presunta storia vera per ricavare una sceneggiatura straordinaria e più complessa di quanto si possa superficiamente intuire. Bisogna pensarci su, alle sue sceneggiature e una volta ingollato il tutto attendere che esploda nello stomaco. Alla regia un ottimo George Clooney, all'esordio dietro la macchina da presa ma che mostra un'attenzione particolare per lo scritto di Kaufaman producendo un piccolo capolavoro in bilico tra la commedia e il noir. Storia dell'inventore dei telequiz da teletrash commerciale, che da noi ebbero fortuna negli anni 80' (Il gioco delle coppie, Tra moglie e marito, tra gli altri) e noto presentatore/produttore col vizio dell'omicidio su commissione della CIA, come dal suo diario che da il nome alla pellicola. Lo spartiacque tra tv impegnata e commerciale sono gli anni '50 , dove al disimpegno si affianca la decadenza di una società opulenta e annoiata, disposta a tutto pur di affrancarsi dal peggior peccato dell'era moderna, l'anonimato e pronta a mettere in piazza senza nessun pudore le bassezze, l'intimo, il privato la cialtronaggine per esigere il postulato pop Wharoliano dei "quindici minuti di popolarità" che il mezzo televisivo promette/permette di ottenere. Come il nostro Chuk Barris (Sam Rockwell)predestinato sia al successo ma anche, dalla nascita a quella trasversalità un po' ingenua e giocosa che lo porta a uccidere su commissione per dare un senso alle proprie pulsioni distruttive. Come sempre succede negli attori che passano alla regia, il film è concentrato sui volti e sulla recitazione degli interpreti: un Sam Rockwell sarcastico che riunisce sapientemente nel suo sorriso entrambe le maschere della commedia e della tragedia, Clooney si ritaglia una parte minore, Drew Barrymore scatenata anticonformista innamorata è credibile, Julia Roberts la spia che fa da contatto al killer/anchor man è forse la meno convincente. Piccole parti per Rutger Hauer e camei muti ma di folgorante ironia per Brad Pitt e Matt Damon. La televisione comemerciale degli anni '50 è il confine per Clooney, il rapporto tra la società e il mezzo di comunicazione più potente che esista, e anche il più bugiardo. Come in Good night and good luck, ci porta dietro le quinte per mostrare il marcio dietro la buccia rosa pastello del falso che si traveste da vero. In una sorta di meta-cinema Clooney mostra "l'obiettivo che sta dietro l'obiettivo che sta dietro l'obiettivo" (Chuck Palahniuk- Cavie), passando dal suo, quello registico, a quello delle trasmissioni popolari della storia che promettono, viaggi, felicità e premi, per finire dietro di esso in una storia torbida di una società che annaspa nelle proprie paure, nella paranoia anticomunista e utilizza proprio il creatore di felicità mediatica per oscuri scopi omicidi. Dopotutto, il lavoro è lo stesso, ci dice Clooney, il controllo della massa mediante l'uccisione delle menti con i programmi di intrattenimento e l'uccisione fisica dei personaggi scomodi con le armi. Il tutto viene trattato con la consueta ironia tipica di un divo che non si prende sul serio ma che dimostra di sapere alla perfezione come e cosa dire circa il Grande Fratello, quando nel finale la storia prende una piega più da spy story concludendosi a sorpresa, il tocco è sempre leggero e amaro, irrisolto, commedia e tragedia si fondono insieme senza soluzione di continuità e si sublimano nelle frasi finali di un acido e sarcastico creatore di telequiz che non ne voleva sapere di amare il proprio pubblico.

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