Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Sogni d'oro è un film di transizione nella cinematografia di Moretti. Dopo il cinema autarchico degli esordi e il cinema generazionale di Ecce Bombo, Moretti prova a cambiare schema e dopo averci parlato del cinema per come lui lo vede nella vita quotidiana, torna a parlare di cinema direttamente, mostrandoci la vita degli artisti e la realizzazione del cinema stesso. Il rischio che corre un arte nell'autoreferenziarsi è quella di penalizzare la sua forma artistica a discapito dei contenuti e dei tecnicismi che si perdono in un autocompiacimento fine a se stesso. Succede nella poesia per esempio, o nella letteratura. Il rischio ovviamente si corre anche nel cinema e questa pellicola secondo me risente un po' della presentazione di un sistema - quello delle case cinematografiche e del cinema italiano - che è in realtà ai più sconosciuto e che forse alle persone amanti del prodotto cinematografico, ma disinteressate della realizzazione del prodotto steso, può annoiare.
Pubblico di merda
Nel mio caso devo dire che il film mi è piaciuto molto e lo promuovo. Di scene cult ce ne sono a bizzeffe, a partire dal finale del match fisico tra registi in cui Michele Apicella urla "Pubblico di merda". Una condanna fastidiosa, forse, per il pubblico che ama sentirsi incensare, ma una condanna doverosa dal mio punto di vista. Prima di tutto perché nel contesto del film quel pubblico è il pubblico-massa che segue l'artista del momento non per l'arte che lui sa creare e plasma, ma per il fenomeno che la moda rivela. E' emblematico che il confronto dei due protagonisti non sia sul loro cinema, sul contenuto e la forma della loro arte, ma sia un confronto fisico, ignobile, perfino denigratorio dell'artista stesso. E così l'artista si vendica sul pubblico, che in quanto massa si beve tutto e arriva a insultarsi da solo inneggiando lo sloagan "pubblico di merda" su sollecitazione dell'artista stesso. In secondo luogo la condanna è rivolta a un pubblico ghiotto di porcate, di gossip, dei nomi di richiamo, delle attrici spogliate (l'inizio degli anni '80 vive l'ascesa della commedia sexy e voyeuristica italiana), della violenza fine a se stessa, ma anche alla produzione cinematografica che vuole un cinema che strizzi l'occhiolino al consumatore per avere i suoi soldi e il suo consenso senza mai chiedersi se una scena è funzionale allo svolgimento di un film, che vuole il sesso e la goliardia per aumentare gli introiti.
Cose che non conosco
Infine Moretti non risparmia anche le stoccate a una critica che parla di cose che non conosce. L'elenco delle cose di cui non parla Michele Apicella - perché lui ha la decenza di non parlare di cose che non conosce - è il più eterogeneo possibile. Nell'elenco vengono accostati in sequenza l'epigrafia greca (tra parentesi materia insegnata dal padre di Nanni Moretti), l'elettronica, la botanica. Michele è un regista, non è un tuttologo e come tale lui parla sempre e solo di cinema, anche con una certa ossessione. L'esilarante scena in cui Michele va dal tecnico del proiettore mentre è in corso la proiezione di un film e lo attacca perché non viene rispettata l'inquadratura del regista e il formato originale della pellicola, perché non ci sono gli obiettivi corretti, perché se di un primissimo piano si taglia sopra e sotto, si tagliano la fronte e la bocca dell'attore. Questa giustissima critica si potrebbe rivolgere oggi ai distributori che riversano i film sui supporti magnetici con la stessa noncuranza, a testimonianza del fatto che il cinema non solo è ancora sconosciuto anche agli addetti del settore, ma viene continuamente bistrattato e svenduto senza riconoscerne il valore. E' triste registrare che lo stesso destino meschino sia riservato alla letteratura o alla musica (ne parla molto bene l'ultimo disco di Caparezza).
Otto e mezzo
Certa critica disse che Moretti aveva puntato troppo in alto, cercando di realizzare il suo "Otto e mezzo" dopo solo due film. Curioso, perché l'anno precedente la critica accusò Woody Allen di avere imitato "Otto e mezzo" senza avere le capacità di Fellini. Evidentemente la critica cinematografica teme che il film di Fellini possa essere in qualche modo insidiato da altri autori i quali si possono ispirare più o meno a quella pellicola. Secondo me invece le considerazioni da fare dovrebbero essere altre. Che Fellini, Allen, Moretti abbiano sentito prima di altri la necessità di parlarci dello star system, di come funzionano le cose nell'arte e negli affari. Questo denota in realtà il disagio che l'artista contemporaneo vive nel non potere essere più libero di seguire le proprie ispirazioni, ma nel dovere rispondere di ogni scelta a tantissime persone e agli incassi del botteghino.
Ricordo sempre molto volentieri l'aneddoto (forse non vero) dell'imperatore austriaco che criticò a Mozart di avere messo troppe note nel Ratto dal serraglio e Mozart rispose che non ce n'era né una di più né una di meno del necessario. E mi viene da fare il paragone invece con Michele Apicella alle prese col suo film dove, per esempio, la scena madre viene discussa e condizionata da consigli e critiche finché alla fine lui non trova il coraggio di liberarsene rimuovendola. La storia è emblematica della pressione che l'artista dipendente deve gestire nel preparare la sua opera. L'arte è cambiata ed è assoggettata agli affari. In Sogni d'oro sono molto lontani i ricordi del cinema autarchico con la super8, il cinema è diventata una macchina dalle pepite d'oro, una slot machine in cui i produttori mettono i soldi per triplicare i guadagni. L'arte è corrotta e asservita (perché condizionata) alle logiche del mercato.
Sogni d'oro
"Sogni d'oro" è un bellissimo augurio che nel match Michele Apicella rivolge al pubblico, punzecchiandolo ironicamente. A volte spero che invece il pubblico apra gli occhi e con le sue scelte aiuti il cinema a conquistare il ruolo che merita di avere.
Quello che mi è piaciuto meno di questo film è il continuo parlare del successo del film precedente. E' evidente che Moretti voglia quasi esorcizzare il successo di Ecce Bombo e che alla fine parli di una condizione comprensibile per qualsiasi artista: gli incassi di Ecce Bombo furono straordinari e ci furono molte aspettative per Sogni d'oro, aspettative che per certi versi furono disattese. Moretti però ne parla in anticipo e questo sembra quasi un mettere le mani avanti. All'inizio del film si ripete spessissimo "sono 3 anni che non fa film: come mai ha smesso di fare il regista?", come volesse rimarcare il fatto che un artista non può lavorare a comando, anche se tutti si aspettano qualcosa da lui entro certi tempi che non sono i suoi. E in questo film secondo me si percepisce un po' questo tipo di pressione, anche se questa è solo una mia opinione che magari Moretti stesso potrebbe disattendere facilmente!
Bellissima interpretazione quella di Piera Degli Esposti. Il personaggio della madre è ben delineato, rispecchia molto bene l'ambiente famigliare che ci si aspetterebbe in una famiglia piccolo borghese ed è di una naturalezza impressionante. Una grandissima attrice, come sempre!
La regia in Sogni d'oro trova nuovi mezzi espressivi dovuti sostanzialmente a due fattori: il primo è che per la prima volta Moretti può girare un suo film direttamente in 35mm, il secondo è la disponibilità del dolly. Infatti i due film precedenti furono girati con investimenti ridotti e attrezzature amatoriali (il super8 di Io sono un autarchico) o attrezzature professionali economiche (il 16mm di Ecce Bombo) ed erano, come ha fatto notare Moretti stesso in alcune interviste, sostanzialmente con la camera fissa. In Sogni d'oro, a seguito del successo di Ecce Bombo, vengono messi a disposizione di Moretti mezzi di produzione più sofisticati e cari. Guardando in ordine cronologico, com'è capitato a me, la filmografia di Moretti, salta all'occhio che in questo film, per la prima volta, viene usato il carrello: nella scena del corridoio in cui dalle porte laterali escono le persone per poi rientrare in altre porte per lasciare la scena ad altri, proponendo delle mini-gag esilaranti e un linguaggio narrativo ben preciso; e nella scena finale del film che sta girando Apicella in cui la macchina da presa ci mostra il teatro di posa dall'alto. E' interessante vedere come il linguaggio cinematografico possa evolversi nel tempo con la crescita della maturità artistica del regista, ma anche grazie ai mezzi che vengono messi a disposizione. E la bravura di Moretti è quella comunque di sapere dosare con stile anche i nuovi mezzi espressivi che gli vengono messi a disposizione, cercando di dare un senso a ogni inquadratura, a ogni obiettivo e a ogni movimento di macchina.
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