Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
Il mediocre pressappochismo che si nasconde dietro una facciata pseudo-emozionante (fatta di eventi e personaggi che dovrebbero essere usciti da una qualsiasi delle famiglie odierne) è l’indelebile marchio di fabbrica di un autore riconoscibilissimo, ma non certo per meriti. Gabriele Muccino è il vecchio che avanza. Un autore senza idee e incapace di rinnovare se stesso, che fallisce proprio laddove vorrebbe trionfare: le sue famiglie in crisi (marito farfallone, moglie frustrata, figlio segaiolo e drogato, figlia aspirante velina) sono quanto di più squallido si trovi in giro. Ma il peggio Muccino la raggiunge reiterando quei ritmi interni alla famiglia obbligatoriamente convulsi, quella falsa voglia di pace (di fatto irraggiungibile), quell’irrequietezza ostentata e irrinunciabile, quei dialoghi affannati in senso letterale, prima ancora che in senso figurato. Guardare un film di Gabriele Muccino significa sorbirsi urla, disgrazie e stress per due ore o quasi. Tutto è caotico ed inafferrabile. Un modo di esprimersi che più monocorde non c’è, un tentativo di fare cinema spacciato per stile autoriale che fallisce miserrimamente e si commenta da solo. Incomprensibile la voce fuori campo, la stessa de “Il favoloso mondo di Amelie”, scelta per descrivere alcune scene. Crollano nel marasma generale anche le prove degli unici attori bravi, Giulia Michelini e Laura Morante. La descrizione della trama è presto fatta: famiglia in crisi vive la sua crisi e ne rimane schiacciata. The end. A seguito del film, numerose le raccolte fondi per un corso di dizione e un’operazione maxillo facciale per Silvio Muccino: giacché deve recitare per forza, almeno non c’assilli coi suoi sputacchi.
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