Regia di Alexander Payne vedi scheda film
Bolso, col riporto, intrappolato in un corpo ormai anziano: è il nuovo Jack Nicholson versione Warren Schmidt. Una vita da mediano, in un’anonima società d’assicurazioni. È giunta l’ora della pensione, dopo una carriera fantozziana tutta casa, letto e ufficio. A ”ravvivare“ il futuro, solo un timido sogno (covato, a dire il vero, dalla consorte) di un camper col quale salpare per chissà quali mete ”esotiche“. Il grande Jack pare diversissimo, ma forse è la logica conclusione di un discorso cominciato trent’anni fa, complice Bob Rafelson. Il re dei giardini di Marvin, il ”pezzo facile“ dell’amara, profondissima America, perennemente insoddisfatta, è invecchiato. La disillusione ha preso il sopravvento. E l’unico on the road possibile (un on the road a metà) è col fin troppo comodo camper iperaccessoriato. Lo spaccato di Payne fa a pugni con l’ottimismo forzato dell’era Bush: i suoi Stati sono magari Uniti ma a governare le inutili giornate dell’unica potenza imperialista rimasta, è la noia, sono le ”ultime cene“ aziendali prima del viale del tramonto. Intontiti dal “benessere”, tristi e solitari, nuclearizzati in case bomboniera in cui le pattine sono un obbligo e le trasgressioni mattonelle che nascondono mine, i cittadini alla Schmidt sono fantasmi di città (civiltà) virtuali. Payne, oltre ad avere a disposizione il gigionismo controllato di un Nicholson che - ormai - si può permettere ogni mossa e ciascun tic, scrive pagine lucide e compassionevoli su un paese fermo e immobile, dove gli sfondi per cambiare hanno bisogno (incredibile) di un’adozione a distanza, di un’Africa evocata e lontana che neutralizza (in parte) i forti sensi di colpa. Svincolato dal lavoro e dall’improvvisa morte di quell’estranea in casa chiamata moglie, Schmidt raggiunge la figlia in procinto di sposarsi. Qui incoccia con un altro passato, trasformato in un patetico presente che ha le fattezze di un rottame ideologico, splendidamente impersonato da una smagliante Kathy Bates, parecchi chili e svariati anni sbattuti nudi e crudi dentro un’improvvisata piscina new age. Nel paese dei mostri, anche gli attori si adeguano. E al riporto di Jack, alle paciose epidermidi di Kathy, rispondono le trucide calvizie di un quasi irriconoscibile (è un complimento) Dermot Mulroney e le magre, isteriche frustrazioni di Hope Davis, un nome che non sempre è una garanzia. Consanguineo alla New Hollywood che fu, “A proposito di Schmidt” è un film paradossalmente speculare, per tema ansiogeno, a “Ricordati di me” di Muccino.
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