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Universal Language

Regia di Matthew Rankin vedi scheda film

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La recensione su Universal Language

di alan smithee
7 stelle

scena

Universal Language (2024): scena

FESTIVAL DI CANNES 77 - QUINZAINE DES CINÉASTES

In una zona geograficamente imprecisata, dai contorni vagamente surreali, come frutto di un curioso compromesso tra la città iraniana di Teheran e quella canadese di Winnipeg, le vite di diversi peculiari personaggi si intrecciano tra loro in modi surreali e dando vita a situazione al limite della farsa.

In particolare lo spettatore segue le vicende quotidiane di due alunni delle elementari, Negin e Nazgol, la mattina fredda e ostile in cui trovano una somma di denaro congelata nel ghiaccio invernale, e cercano di entrarne in possesso, reclamandola quando si accorgono di esser stati beffati.

Nel contempo Massoud, una guida turistica, accompagna un gruppo di turisti sempre più confusi attraverso i monumenti e i siti storici di Winnipeg, decantandone con sin eccessiva enfasi le spesso strambe caratteristiche.

Matthew invece abbandona il suo insignificante lavoro in un ufficio governativo del Québecois per intraprendere un enigmatico viaggio, con metà finale la casa materna, ove vive la genitrice da tempo malata.

Universal language è la più recente fatica cinematografica del regista canadese classe 1980 Mattew Rankin, noto soprattutto per il suo lungometraggio d'esordio dal titolo The Twentieth Century del 2019, nonché uno dei punti forti della Quinzaine 2024 dell'ultimo Festival di Cannes.

Attraverso una comicità caustica e quasi trattenuta, in un non-luogo dai tratti ironicamente surreali che riproducono una società dai tratti e modi tipicamente mediorientali in un contesto geografico freddo e quasi ostile molto simile a gran parte del territorio canadese considerato nel suo periodo più rigido, il film presenta situazioni divertenti, a tratti esilaranti, portando avanti una comicità trattenuta e seriosa che ricorda un po' lo stile, non meno nordico seppur su diverso continente, dell' apprezzato regista svedese Roy Andersson.

Spazio, tempo e identità personali dei vari personaggi finiscono per sfumare per lasciarsi ammaliare da un groviglio di sentimenti contrastanti che rendono la commedia ben più surreale ed originale di quanto si sarebbe potuto pensare lungo il suo incipit serioso e depistante.

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