Regia di Noémie Merlant vedi scheda film
Una fesseria solenne.
Un thriller erotico femminista, con tinte da porno horror, che delude ampiamente le pur ottime attese. Che vengono rispettate solo all’inizio: la simpatica, sana, adorabile follia delle tre amiche faceva ben sperare. Saranno squilibrate, ma almeno sono autentiche, e amano la vita, a loro modo.
Ma il film, che non dura poi tanto (un’ora e 40 circa), arriva già al climax poco prima della metà: dopo di che, la parabola discendente è impressionante, per via di una insignificanza palese.
La gestione stessa del messaggio femminista è abbastanza commerciale: tutte le donne si ritrovano degli uomini pazzi, che usano loro violenza fisica e psicologica. Non che ciò sia impossibile, anzi, e purtroppo, come la storia insegna: ma che la caratterizzazione sia così schematica, è abbastanza forzato e semplicistico (il marito che la donna nera uccide; il belloccio che alla fine vuole solo usare le donne per scopi sessuali; il marito dell’attrice che la controlla psicologicamente in ogni modo, e lei gli si ribella abortendo…).
È che la sceneggiatura è scritta male da colei che qui è anche attrice, nonché regista – la Merlant – e dalla Sciamma. Pur avendo dei pregi, i difetti balzano molto di più all’occhio. Ciò si nota anche dalla pochezza della gestione del sogno/ossessione della scrittrice (specie in merito alla riapparizione dei morti).
Come anche dallo sfruttamento di cliché triti della scrittura drammaturgica di questa età ormai sempre più capitalista, da almeno 50 anni: guarda caso, i protagonisti sono i classici sogni dell’immaginario del lavoro culturale ai giorni nostri, ma infatti privi di un minimo di indispensabile senso critico. Ovvero: una scrittrice che sogna il successo (senza che si possa affatto capire se lo meriti, almeno lontanamente); un’attricetta che esibisce il corpo, in produzioni televisive (e dunque di bassa tacca), sperando anche lei che basti per avere il successo; una camgirl, che usa il corpo ingannando il pubblico alla maniera pornografica, sperando anche lei che le basti per avere il successo. E, nel mondo alla rovescia in cui viviamo, infatti quest’ultima ha più la consapevolezza di arrivarci, al successo, rispetto alle due amiche, che effettivamente hanno però velleità maggiori – e non ci voleva tanto- : proprio grazie alla svendita del proprio corpo; e, in ultima analisi, della propria dignità.
Chi scrive, poi non può certo essere tacciato di moralismo (nel senso autentico del termine); ma, inoltre, è altresì evidente che tutta quella esibizione di tette (la cui grazia, da uomo eterosessuale, non si può che apprezzare) non aiuti la causa femminista intentata dalle autrici. Esattamente come le scorregge cui si abbandona di continuo una delle protagoniste; e, soprattutto, come le continue provocazioni che le donne fanno agli uomini desiderati, intaccando la propria dignità.
In tale senso, è illuminante la penosa presa in giro che la semi-pornoattrice – la più vissuta delle tre amiche, che ammicca senza però andare sempre al “dunque”, come chiaramente però promette – fa ad un cassiere, accusato implicitamente da lei di non essere abbastanza sveglio sotto il profilo erotico.
Ma non vanno dimenticati vari pregi, oltre a una certa – iniziale, come detto – effervescenza della sceneggiatura: buoni sono anche recitazione media, costumi, fotografia, montaggio. Quindi non poco, certo.
Ma il peggio prevale: il demenziale, unito al morboso, fa pena, culturalmente e umanamente. Però fa cassetta.
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