Regia di Nagisa Oshima vedi scheda film
I protagonisti del dramma belli e frementi come i loro interpreti, sono le figure chiave di una storia divisa fra sadismo e attrazione sessuale che vuole essere anche una riflessione sull’insensatezza della giustizia e dell’onore, sull’irrazionalità delle passioni e delle guerre oltre che sulle contraddizioni castranti di un’educazione sbagliata.
La raggelata tragedia di Furyo (per una volta anche la traduzione italiana, per quanto infedele, non è male, perché per lo meno non tradisce il senso della pellicola, risulta anzi “affascinante” e coerente e riesce in qualche modo a rappresentarla pienamente, nonostante sia lontanissima dall’originale, poeticamente più pertinente, e che continuo a preferire di gran lunga) è un racconto polifonico che - evidenziando le angosce, i drammi e le costrizioni di un gruppo di soldati inglesi internati in un campo di prigionia giapponese non coordinato sulle regole e i limiti di reciprocità e di rispetto imposti dalla Convenzione di Ginevra (gli inglesi dovrebbero rivedere adesso questo film e rifletterci seriamente…) per l’oggettività dello status, le incomprensioni e gli eccessi dei loro carcerieri che li disprezzano e non li giustificano per aver accettato l’onta della resa e della privazione della libertà rinunciando al “suicidio”d’onore, imposto da tradizioni e usi millenari di quel paese ancora per molti versi ancorato a riti medievali di onore e devozione - pone al centro del conflitto un gioco mortale intriso di crudeltà estrema e di freddo orrore, che si estrinseca nel confronto e nello scontro fra due culture, due classi sociali e due mentalità. I protagonisti del dramma, Celliers e Yonoi, belli e frementi come i loro interpreti (rispettivamente Bowie e Sakamoto, due rockstar celebrate e famose all’apice della loro carriera e della popolarità nel rispettivo “mondo di riferimento” e proprio per questo scelte e contrapposte con mano estremamente felice dal regista), rappresentano i personaggi chiave, fra sadismo e attrazione, di una storia che vuole essere anche una riflessione intensamente emozionale, sull’insensatezza della giustizia, sull’irrazionalità delle passioni e delle guerre, sulle contraddizioni della storia e dell’educazione. I due personaggi sono fisicamente e psicologicamente analoghi, quasi complementari, ma è abissale la differenza che li divide come concezione di vita e di rapporti: si scontrano e si attraggono, si ammirano e si odiano in un confronto anche fisico che supera ampiamente i limiti di una lettura del conflitto interpretabile solo in chiave omosessuale. E’ una “passione” quella che travolge Yonoi, che vorrebbe esplodere – e non lo fa – in un duello/amplesso alla spada che potrebbe esaurire il desiderio, caparbiamente ricercato dal giapponese, ma rifiutato con analoga determinazione dall’inglese (un rifiuto che equivale a un invito e un rinvio). L’attrazione/repulsione del comandante giapponese (caratteristica dominante non del solo individuo ma dell’intera concezione di vita di un popolo che attraversa trasversalmente tutta la cultura nipponica del novecento) è avvertibile già dal primo confronto in quel tribunale sommario che decreta la pena di morte e nella crudele esecuzione simulata che segue, e rappresenta la matrice primaria delle sevizie successivamente inflitte per delusione e rabbia implosa, al fiero e tenace“tentatore inglese” dalla bionda capigliatura che lo ha in qualche modo deluso (brutalità che risvegliano in quest’ultimo il ricordo di altri atti e riti crudeli che appartengono al suo passato e riaccendono così il peso di antiche colpe verso il gibboso fratello più piccolo, accentuando di conseguenza la valenza drammatica dello scontro). Ed è proprio questa profonda diversità di formazione che li divide ma che in qualche modo la progressiva reciproca conoscenza paradossalmente assottiglia fino quasi ad annullarla completamente, la divaricazione esistente fra Occidente e Oriente che si elide fino ad integrarsi perfettamente e senza cesure, nella unificazione finale dei destini di questi due tragici protagonisti. Preciso ed implacabile nei ritmi (quasi metronomico) il film è sostenuto da un linguaggio secco ed essenziale mai compiaciuto, nemmeno nei momenti più trucidi, ricco di invenzioni figurative compiutamente espresse e rappresenta uno dei vertici creativi della genialità di Oshima, che può contare sul magnifico contributo di uno straordinario quartetto di attori (oltre ai già citati Bowie e Sakamoto, Tom Conti nel ruolo eponimo del comandante Lawrence - che rappresenta con sofferta adesione l’anima più profonda di colui che conosce e comprende ma non giustifica - e un giovane ma già superlativo e indimenticabile Takeshi Kitano). Molte le scene che “colpiscono” e “affondano” lasciando segni profondi nella memoria: il karakiri imposto al soldato sodomizzatore; i riti e le adunate scandite nel dialogo dalle citazioni ossessive dei parametri del regolamento militare; la livida, quasi irreale sequenza notturna del corpo interrato e agonizzante di Celliers, con quella luce azzurrina che rende ancor più spettrale e devastata la faccia sofferente del prigioniero bloccato nell’orribile tortura inflittagli nello struggente, disperato momento dell’onore delle armi reso dal suo giudice e aguzzino che si completa nel taglio della ciocca dei capelli che rappresenta il riscatto e il “segno” definitivo di quella storia impossibile di conflitti irrisolti e irrisolvibili; la sequenza del bacio – provocatorio ed estremo gesto di amore e di suprema profanazione – che determinerà la conclusione catartica delle due esistenze. No, davvero, Oshima è ancora una volta implacabile e tagliente, non risparmia niente e nessuno. La rigida concezione dell’amore, l’ambigua natura dell’uomo, le pulsioni sessuali incontrollabili che si scontrano con quelle tradizioni millenarie che determinano i limiti non solo della morale, ma anche dei comportamenti e finiscono per estremizzarli rendendoli assoluti, la disciplina e le regole che regolamentano i rapporti fra etica e valori personali: questi sono gli elementi e le contraddizioni stigmatizzate con ’inesorabile precisione clinica con questa sua ricognizione critica che analizza al microscopio lo scontro titanico di due personaggi emblematici, baluardi estremizzati di due civiltà agli antipodi, ma più complementari di quanto si potrebbe immaginare o intuire, in un racconto avvincente e feroce nel corso del quale si invertono spesso le parti fra vinti e vincitori.
Dello stesso Sakamoto, è una partitura perfetamente integrata con le immagini, fra suoni arcaici e intuizioni quasi sperimentali che la impreziosiscono
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta