Regia di Roberto Faenza vedi scheda film
Roberto Faenza nel raccontare una storia (in questo caso ispirata alla realtà) focalizza spesso la prospettiva delle idee di cui il film si nutre su un solo personaggio. In questo caso porta sullo schermo il travagliato e noto rapporto paziente/medico, poi mutatosi in passione, tra la psicoanalista russa Sabina Spielrein e Carl Gustav Jung. L'idea è di ripercorrere le tappe della loro storia attraverso le ricerche di due studenti (francese lei e scozzese lui), entrambi in viaggio a Mosca per raccogliere dati e incontratisi lì per caso. Progetto che non sembra malvagio ma resta ancorato alla fase iniziale. Non suscita interesse il loro cammino e lo spettatore vive dei lunghi flash-back in cui prendono vita i due amanti. Sabina, il punto di vista del film (seppur indiretto) è quasi totalmente il suo, si trova in cura a Zurigo dal "pupillo" di Freud, per sottoporsi alle nuove teorie sulla psicoanalisi basata sulle libere associazioni. In preda dell'isteria, molto comune nelle donne d'inizio ventesimo secolo, inizia progressivamente a provare forti sentimenti per il dottor Jung e per i suoi metodi così gentili, umani e diversi dall'allora abusato elettroshock. Appena la scintilla raggiunge Jung, si presentano per lui crocevia morali e deontologici. Il film è un racconto che è "stretto parente" della biografia di una passione alla quale, tuttavia, sembra mancare "sapore". Situazioni estreme, alcune quasi grottesche, vortici sessuali e riflessioni morali. Prendimi l'Anima finisce con l'annoiare. Tanto viene preparato, tanto viene disfatto. Mi è piaciuta molto la canzone yiddish Tumbalalaika. Molto raffinata.
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