Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Nella New York della metà del XIX secolo le bande si fronteggiano per appropriarsi del controllo sui traffici illeciti nel territorio. Quella dei "nativi americani", guidata dall'efferato Bill Poole (Day-Lewis), detto "il macellaio", ha la meglio su quella dei "conigli morti", rappresentata da un prete (Neeson) che crede fermamente nei diritti della popolazione emigrata. Alla morte di quest'ultimo, suo figlio (Di Caprio), che all'epoca dello scontro tra le due bande era un ragazzino, torna nella zona dove era cresciuto con l'intento di vendicarsi dell'assassino di suo padre e di proseguire nell'opera di proselitismo del congiunto.
Le straordinarie scenografie, la regia impeccabile che spesso rasenta il virtuosismo a suon di carrellate, dolly e soggettive, il cast stellare sono elementi a corredo di un film che inizia e finisce con una carneficina (quella iniziale tra le due gang nemiche e quella finale per sopprimere la ribellione popolare contro la coscrizione obbligatoria). Violentissimo, Gangs of New York la dice lunga sulla genesi del concetto di democrazia negli Stati Uniti, sui diritti delle minoranze, su una civilizzazione lontanissima da divenire, sulla religiosità che permea ogni aspetto della vita americana e in nome della quale non si esita ad ammazzare. Lungo, spettacolare, il film ha l'unico neo che si trova in quasi tutto il cinema di Scorsese: quello di far parlare troppo la macchina da presa, sconfinando in una maestria a volte chiaramente autocompiaciuta.
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