Regia di Béla Tarr vedi scheda film
Bela Tarr o lo ami o lo detesti; non esistono vie di mezzo. Io, anche in considerazione della mia foto-profilo, non do adito a dubbi! “Perdizione” è ancora una volta una pellicola sulle miserie dell’uomo e l’ossessivo perseverare del regista ungherese su questo concetto è forse l’unico suo limite. “Perdizione” è il film della svolta e forse della maturità artistica; da qui in poi il suo stile diventerà inconfondibile e personalissimo. Satantago, Le armonie di Werkmeister, L'uomo di Londra. “Perdizione” è un capolavoro della fotografia, dell’inquadratura. In almeno due piani sequenza è geniale e, a mio parere irraggiungibile: che siano Medvigy o Kelemen i direttori della fotografia. La sua fotografia è statico-dinamica, la luce sempre come DEVE essere: si parte da un’inquadratura fissa e il movimento di macchina da presa propone una sequenza impressionante e ininterrotta di tante foto d’arte. Prendete il piano sequenza di Kerrer davanti al commissariato di Polizia. Per me lo stato dell’arte. Prendete il tristissimo amplesso che “chiude” con il pianoforte. Un esempio da manuale. Semplici e rugosi muri, pioggia sui vetri. “Lui” rende tutto d’intensa bellezza.
Veniamo ai contenuti. Con i limiti di cui in premessa anche in questa pellicola troviamo i soliti elementi ricorrenti: La finestra, il bar, la fisarmonica, le ventole, il gesto consolatorio del bere. I carrelli della teleferica che trasportano chissà cosa in un ritmico e perpetuo andirivieni, forse tante esistenze vuote, tutte uguali. L’amore (meglio dire la passione) unica umana consolazione ancora una volta vinto dagli eventi, abbattuto. Effimero....e diviene perdizione o forse meglio, come in locandina, dannazione. I dialoghi sono ridotti all’osso, spesso abbastanza ermetici, a tratti con citazioni bibliche ma v’invito a seguire la dichiarazione di Kerrer all’amata (meglio dire desiderata) “In te si apre un passaggio unico e abbagliante che porta ad un mondo per me irraggiungibile……”.
Nenie popolari accompagnano il ballo nella sala del Titanik Bar, poi la conseguente desolazione, il disordine, la sporcizia. Un “poeta” pesta furiosamente i piedi sul pavimento, forse l’unico sfogo alla sua sconfitta affettiva ed esistenziale. Un ultimo colpo di coda, di onestà, (o di vendetta?) di Kerrer al commissariato di polizia, poi il ritorno ad un primordiale mondo animale, dove si confronta alla pari con il rabbioso abbaiare di un cane. Forse un ritorno alle origini dell'uomo. Si chiude con il fango. Non è forse il migliore Tarr ma resta, a mio personalissimo parere, grande cinema. Scusate la lungaggine ma, quando scrivo di “lui”, perdo il controllo delle dita!
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