Regia di Béla Tarr vedi scheda film
Il lungo piano sequenza iniziale è probabilmente un piccolo manifesto ideologico della visione cinematografica secondo Bela Tarr, spostando quasi impercettibilmente il punto di vista e allargandone l'orizzonte temporale, lo scenario della vita può cambiare in modo determinante, è la vita che si trasforma in arte. Il protagonista, Karrer, vive di espedienti, in una condizione esistenziale di abbandono, solitudine e degrado sociale. La realtà è allo sfacelo, in un contesto assoluto di incomunicabilità, Tarr attraverso la costruzione di un'immagine molto suggestiva con riprese lente e dettagliate rifiuta ogni appiglio di artificiosità del linguaggio filmico riportando lo spettatore ad una "osservazione" della realtà in chiave anti narrativa, spogliata di ogni cornice. Paradossalmente ne consegue una visione cinematograficamente moderna, pregna di significati da cogliere che riportano un pò al cinema autoriale degli anni d'oro. Nonostante il pessimismo che anima il mondo, ai personaggi è ancora concesso uno spiraglio interiore e doloroso, Karrer è innamorato di una cantante da bar che di lui non ne vuole più sapere, allora cercherà di coinvolgerla con suo marito in uno dei suoi loschi traffici senza risultato. Arriverà a denunciarli e s'immedesimerà in un cane ringhioso come se l'unica possibilità di sopravvivenza sia il tradire per cercare di dare un senso alle cose (dunque compiere un'azione artistica). Personaggi emblematici e inquadrature drammatiche compongono scenari degradati che potrebbero piacere anche a Ciprì e Maresco e al loro cinema post atomico, ma in Bela Tarr non ci sono tracce feroci di ironia. Se come detto l'immagine risulta efficace, sono i dialoghi la parte che più sconcerta. Il linguaggio simbolico usato, il tono poetico ma anche accademico e verboso creano un'espressività che stacca lo sguardo dalla realtà filmica. Tarr propone una frattura fra immagine diretta e linguaggio codificato forse rendendone nullo il senso, ma la comunicazione così risulta manipolata, astratta, allontana l'attenzione dalla scena reale diventando poco omogenea. Così senza giustificare nulla il pericolo è di cadere nell'intellettualismo dove si può dire tutto e il suo contrario, affidando allo spettatore le chiavi di lettura. Intanto la pioggia incessante per tutta la durata del film penetra la terra, la riduce a fango, l'uomo non ha più appigli solidi, restano solo parole vuote, immagini che si dissolvono, pensieri sempre più vaghi. La follia del mondo avanza ignara, si riproduce nella scena della sala da ballo, l'uomo si annulla, si confonde, diventa massa informe: finalmente si perde.
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