Regia di Mitsuhiro Mihara vedi scheda film
Delizioso, minimalista, giapponese fino al midollo
La gente si complica la vita, ma la vita è sorprendentemente semplice, dice qualcuno in Tardo autunno, uno degli ultimi film di Ozu, scomparso nel ’63.
E’ la summa del cinema giapponese che in Ozu ha da sempre il suo padre nobile, anche quando la yakuza di Kitano spara a raffica le sue mitragliette.
Galbraith disse di Ozu: “Come Kurosawa, una delle cose più impressionanti di Ozu è la sua capacità di tagliare tutto il superfluo, riunendo tutto in una forma che è apparentemente semplice e senza fronzoli ma di monumentale espressività “.
La lezione non è passata invano se ancora un regista contemporaneo, Mitsuhiro Mihara, sceglie di raccontare con registro minimalista storie di varia umanità, con personaggi di normale quotidianità: un padre vedovo anziano,Tatsuo, una figlia divorziata e attempata benchè giovanile, Haru, un corteo ridanciano di amici, questa volta riuniti dal barbiere non al bar, una donna mite e sorridente, vedova e sola, che l’anziano padre aiuta nella malattia perché, sì, le ragioni del cuore non hanno età.
Che altro? La cornice di mare (siamo a Onomichi. nel distretto di Hiroshima), traghetti, montagne sullo sfondo e la primavera che si sta affacciando timida, solo qualche fiore rosa del ciliegio in strada, nessuna esplosione di chiome rigogliose.
Questo è il cinema giapponese nella sua purezza assoluta. Spettacolarità, azione e trasalimenti sono fuori, nutrire riserve è non aver assimilato la grande lezione dei classici, compreso Kurosawa, che pur nel suo cinema più maschio e muscolare, resta nell’orbita del racconto di estrema sintesi, visiva e narrativa.
Il tofu qui è il centro, un alimento base della tavola giapponese, e anche questo appartiene al modo che il cinema del Giappone (fino a Kore-eda) ha di pensare la convivialità come momento aggregante di relazioni sociali altrimenti disperse in tanti rivoli.
Non dimentichiamo neppure Le ricette della signora Toku (2015) di Kawase Naomi, quel minuscolo negozietto (più un baracchino)-laboratorio da cui esce qualcosa che non ha paragoni col cibo in vendita nei supermercati, insipido e plastificato.
Il tofu del signor Takano è il più buono al mondo, e lui si rifiuta ostinatamente di commercializzarlo, nonostante il futuro genero-imprenditore gli faccia balenare prospettive di grandi guadagni.
Il film indugia con gusto e simpatia su alcune fasi della preparazione, quasi una liturgia da rispettare con devozione,dalla cagliatura del latte di soia, il liquido estratto dai fagioli di soia, fino ai bianchi panetti di formaggio vegetale da far diventare vegetariani solo a guardarli.
Haru è la classica figlia devota che al mattino, entrando in negozio, dice inchinandosi “Felice di lavorare con te signor padre”.
Affettazione? No, amore e rispetto, per noi incomprensibili.
Le traversie della vita, le malattie, la corrosione di rapporti umani difficili da gestire, il ricordo di passate tragedie (siamo nei pressi di Hiroshima) c’è, ma sotto coperta, se ne avverte la presenza che non esplode in dramma, conflitto esacerbato. C’è il garbo di un dolore consumato dentro di sé, c’è l’abbraccio riparatore, c’è, soprattutto, l’accettazione del vivere umano che sa di consapevolezza e rassicurante saggezza..
C’è la tranquilla leggerezza di un haiku
Tornando a vederli
i fiori di ciliegio, la sera,
son divenuti frutti
www.paoladigiuseppe.it
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