Regia di Mitsuhiro Mihara vedi scheda film
Takano prepara il tofu da decenni in un piccolo distretto di Hiroshima, con l’aiuto della figlia Haru che tollera pazientemente i capricci del padre. Quando l’angina aggravata dal rischio di un aneurisma spinge Takano a riflettere su una possibile fine imminente, il pensiero dell’uomo va subito alla figlia, divorziata ormai da anni, e alla chance che potrebbe avere di risposarsi. Assunto evidentemente ozu-iano, che l’eclettico Mitsuhiro Mihara (ha alle spalle anche degli horror di cassetta, tra le altre cose) trasforma in una cordiale commedia dal prevedibile slancio umano, ma che (come Ozu all’occhio occidentale) ritratta l’idea di “prevedibile” come aggettivo critico da rivedere, visto che bisogna sempre saper essere prevedibili, e soprattutto non è affatto detto che le vicende umane di personaggi come questi siano imprevedibili.
I fattori di prevedibilità sono immancabilmente nella natura placida e antispettacolare degli eventi: conflitti grandi ma risolvibili, momenti tenui di tenerezza, piccoli attimi musicali come tanti se ne possono vedere in una tradizione giapponese di dramma che potremmo aneddoticamente definire “delle piccole cose”. D’altro canto, Mihara combina con grazia da maestro i tempi della comicità, i tempi del dramma e i tempi della quotidianità, tanto che non solo i suoi personaggi appaiono nitidi e avvicinabili fin dai primi gesti e dai primi movimenti – bellissimi, nella cucina, per la preparazione del tofu – ma sono anche perfettamente credibili nella loro candida evoluzione emotiva, da capriccioso ad amorevole Takano, da timida a intraprendente Haru, mentre attorno a loro il coro della (potenziale) tragedia umana li accompagna in forma di aiuto.
Quindi trattasi di classico feel good movie, da piccola comunità e piccoli gesti, imperniato sulla bellezza dell’essere grati a qualcuno nella vita. Prevedibile, ma bisogna saperlo essere.
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