Regia di James Mangold vedi scheda film
È il 1961 quando un perfetto sconosciuto, ventenne del Minnesota, arriva a New York per incontrare il suo mito, Woody Guthrie (McNairy), degente in un letto di un ospedale psichiatrico e assistito amorevolmente dall'amico Pete Seeger (Norton), esponente di punta della musica folk a stelle e strisce. Sarà proprio quest'ultimo il mentore decisivo per quel ragazzo che, di lì a cinque anni, sarebbe diventato una star di dimensioni planetarie: Bob Dylan. Tratto dal libro Il giorno in cui Bob Dylan prese la chitarra elettrica, di Elijah Wald, il film di James Mangold si concentra sul lustro di esplosione creativa che portò Dylan al centro della scena folk internazionale, fino alla svolta elettrica del festival di Newport, nel 1965, che fece infuriare pubblico e organizzatori.
Dopo Quando l'amore brucia l'anima, dedicato alla vita di Johnny Cash, Mangold, nomen omen, dimostra ancora una volta di essere l'uomo d'oro, capace di maneggiare la materia musicale con estrema destrezza. Sul piatto, stavolta, c'è tantissima musica, con momenti altissimi e toccanti come l'interpretazione che Dylan regalò a Guthrie con Song to Woody o l'esibizione nei piccoli locali per musica folk con A Hard Rain's A-Gonna Fall, fino al duetto con Joan Baez (interpretata da Monica Barbaro, meravigliosa da ogni punto di vista) in occasione del festival di Newport, con It's All Over Now, Baby Blue. Quest'ultima scena condensa l'altra faccia del film, quella nella quale la narrazione procede soffermandosi soprattutto sui grandi amori del menestrello di Duluth (in primis, quello per Susie Rotolo/Elle Fanning, per la quale lo stesso Dylan ha chiesto che la sceneggiatura ne cambiasse il nome in Sylvie), sul rapporto controverso con Joan Baez (delle sue canzoni, Dylan diceva che "sembrano come i quadri negli studi dei dentisti"), che nei primi anni Sessanta aveva già raggiunto l'Olimpo del folk, e quello difficile con i discografici. Ma, più di ogni altra cosa, emergono la personalità e il carisma di Dylan, la sua impermeabilità al giudizio degli altri, il suo essere schivo e radicalmente anticonformista. Timothée Chalamet - idolo della Z Generation e ponte ideale tra i divi di ieri e quelli di oggi - restituisce tutto questo con un'interpretazione sbalorditiva, in occasione della quale riesce a interpretare canzoni come Masters of War o The Times They Are A-Changin' in maniera quasi mimetica. Si esce dalla sala con addosso una montagna di emozioni e la certezza di avere visto un capolavoro che era una scommessa quasi impossibile, data la personalità, così imprendibile e mercuriale, di Dylan. E poi, quel finale…
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