Regia di Caitlin Cronenberg vedi scheda film
PS= non è un horror
Prima di vederlo, non ero molto convinto che il primo film di una ragazza di quarant’anni con quel cognome (a parte il documentario girato su suo padre) potesse rappresentare qualcosa di interessante. A visione avvenuta, devo invece dichiararmi molto colpito non solo da come il film rimandi in tutto e per tutto al nome (e cognome) di David Cronenberg (a mio parere uno dei registi contemporanei più intelligenti e creativi) specie nell’uso della fotografia, ma in particolare riguardo alla sceneggiatura (la quale reca però una firma diversa) che è perfettamente in stile con le suggestioni allucinate, le apparenti assurdità perfettamente ricreate e rese possibili, di papà David. In una prima lettura, il contesto sociale proposto è irricevibile: in un mondo del futuro (ma sarà forse già qui?) dove l’aumento della popolazione globale unitamente alle mutate condizioni ambientali dovute al depauperamento delle ricchezze disponibili e ai cambiamenti climatici, il governo del Paese introduce un importante incentivo economico per (gli eredi di) coloro che su base volontaria si iscrivono ad un programma di eutanasia. Quattro fratelli (tre naturali ed uno adottivo) poco abituati a frequentarsi tra loro vengono invitati dal padre e la nuova moglie di costui ad una cena in cui i due genitori dovranno dare impegnative notizie che riguardano tutta la famiglia in relazione all’iniziativa governativa. Ben presto (ma più presto del previsto), suona alla porta dell’elegante villino un certo Bob, caposquadra di un’unità operativa, il quale è in apparenza un bonario sempliciotto, ligio al proprio dovere e interessato solo ad eseguire gli ordini ricevuti, ma che assumerà sembianze totalmente diverse e diventerà parte fondamentale della vicenda.
La costruzione della storia è davvero ottima: l’introduzione via via dei quattro fratelli e la loro caratterizzazione tiene viva l’attenzione anche nella prima fase in cui ancora non accade nulla. Anche le figure dei genitori (lui è un ricco e noto anchor-man dell’informazione televisiva, lei di origine giapponese già proprietaria di un ristorante di lusso e cuoca sopraffina) ed il legame con i figli, diverso per ognuno di loro, è studiato molto bene.
Il film si svolge praticamente tutto all’interno della villa dalla quale si esce solo per restare nelle immediate vicinanze (un furgone in giardino) o attraverso le immagini che vengono dai notiziari televisivi. Tutto accade tutto nel giro di poche ore, e il modo con cui la vicenda si avvita su se stessa sprofondando in una spirale sempre più fonda e cupa è davvero nel migliore stile “cronenberghiano”, tanto che a fine pellicola (un finale fulminante dove tutto accelera con progressione esponenziale) viene la curiosità di andare a spulciare bene tra i crediti per vedere se non ci sia, da qualche parte, lo zampino nascosto di papà David.
A mio parere un ottimo lavoro, del quale ho trovato recensioni interessanti e ben fatte (sicuramente meglio di questa) dalle quali credo si possa dire che è un lavoro piaciuto. Auguro alla rampolla di casa Cronenberg un buon successo. Un’ultima annotazione: io ne vedrei bene una versione teatrale, naturalmente “addolcita” nelle forme e privata di quella truculenza alla quale ricorre invece con efficacia la regista.
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