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Un mondo d'amore

Regia di Aurelio Grimaldi vedi scheda film

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La recensione su Un mondo d'amore

di yume
8 stelle

Biografia poetica fatta di frammenti, non è un biopic ma dice molto di più, lascia fuori un inutile documentarismo per cogliere piccoli segmenti astratti, ci sono 25 anni ancora da trascorrere, la fama e gli impegni arriveranno, ma il Pasolini di Grimaldi è è quello che portava al mare gli alunni di Casarsa.

 

12 ottobre 1949,  Caserma dei Carabinieri di Casarsa in Friuli.

Pasolini ha 27 anni, è seduto su una panca e aspetta che il maresciallo lo faccia entrare per interrogarlo.

L’accusa è: "Corruzione di minore e atti osceni in luogo pubblico".

Sarà il primo dei 33 processi che Pasolini affronterà in vita, poi ci saranno le ipocrite santificazioni post mortem.

Ma questa di Grimaldi è una storia d’amore e come tale va raccontata.

 

 

Si apre come un sogno, una balera degli anni del bianco e nero esclusivo, coppie che ballano, sono solo maschi, le donne a casa a filar la lana.

Intorno, seduti, i vecchi e gli anziani del paese guardano, tutto sembra normale.

Neil Sedaka, voce inconfondibile dei balli del mattone anni ‘50, canta “La terza luna”.

Nel quadro successivo Grimaldi muove lento la mdp, campo e controcampo sul poeta e il maresciallo.

Un grado per volta tutto, nel maresciallo, occhi, bocca, parole, perfino i baffi, costruiscono intorno al poeta silenzioso un castello accusatorio sempre più stringente, sempre più osceno.

Quasi mellifluo sulle prime, mentre snocciola l’elenco delle attività del professore, scrittore, poeta, giornalista e fondatore dell’ “Academiuta de lenga furlana”, il maresciallo aumenta pian piano di tono e sceglie l’ironia che prepara la strada all’invettiva:

 

Fate un sacco di cose, professo’, e avete trovato pure il tempo, sabato 28 settembre scorso, di recarvi a Ramuscello, alla festa di Santa Sabina, dove avete conosciuto i minori ... " ( e qui segue elenco dei ragazzi, rigorosamente cognome e nome, il linguaggio del maresciallo non tradisce l’arma che, notoriamente, predilige cognome prima e nome poi).

 

La “diffusa diceria di paese”, secondo la quale “i minori suddetti” si sono confidati ad altri minori di aver commesso atti di libidine con un adulto, è diventata un rapporto della questura.

Pasolini fa cenno al romanzo a cui sta lavorando, ad André Gide e all’Immoralista a cui si ispira e al bisogno di confrontarsi con le esperienze dei ragazzi.

Questo l’ha spinto ad appartarsi con loro e le motivazioni accessorie, confusamente riferite poi anche dai tre ragazzi atterriti, e che parlano di latini, greci, amore per uomini e donne, diritto ad essere felici e basta, non sono affatto convincenti, anzi, messe insieme a quell’ Aspersgì (tale diventa André Gide per il graduato) sono la prova di quanto leggere troppo faccia male allo spirito e, soprattutto, al fisico.

Io qua devo scrivere se voi queste porcherie le avete fatte o no - urla fieramente schifato - le avete fatte o no?”

e questa sarà l’estrema sintesi del colloquio.

Pasolini eviterà la galera solo perché le famiglie non sporgeranno denuncia, 20.000 lire a testa sono bastate e tante cinghiate ai ragazzi.

Le scuole dello Stato, però, l’hanno espulso per sempre.

Solo un piccolo cameo in tanto squallore, i suoi alunni, interrogati da un provveditore insinuante ma incapace di ottenere più che una dichiarazione d’amore per quel prof.: “E’ il miglior professore che abbiamo avuto, ci parla della poesia, dei latini, dei greci, abbiamo scritto poesie, l’altro ci diceva somari, bestie, non capite niente…”.

Andranno a salutarlo in stazione, questi ragazzi, lui un giorno li aveva portati a vedere il mare a Caorle, per la prima volta in vita loro.

 

I toni grotteschi della vicenda Pasolini in tutta la lunga sequenza iniziale del film sono volutamente esasperati, le parole del procuratore e del provveditore, l’aggressione verbale del padre Carlo Alberto alla madre (ricordiamo l’incipit dell’ Edipo re e il richiamo autobiografico), la piccola e dolce Susanna Colussi, che oggi riposa accanto al figlio nel modesto cimitero di Casarsa, la dichiarazione di espulsione dal PCI per indegnità, insomma tutta la tragica e insieme farsesca messa in scena che ha distrutto la vita di un grande poeta è racchiusa nella prima parte del film.

 

 

All’indegno berciare di questi difensori della morale, Grimaldi oppone il silenzio, quello del poeta e quello della madre, coglie con discrezione i loro sguardi, i sorrisi, li segue con dolorosa attenzione nella fuga a Roma, piccole tappe di miseria, gioielli da poco venduti al Monte di Pietà, sala d’aspetto di terza classe nella stazione di S.Lucia a Venezia, e poi i discorsi nel vagone dai sedili di legno dove s’incontrano pezzi d’Italia che si muovono carichi di pacchi e valigie di cartone da Trieste a Catania.

Roma è nell’ultima mezz’ora, ed è periferia, borgata, porte chiuse, lavoro che non c’è, Susanna che fa la serva da ricchi borghesi, Cinecittà che appare in un flash:

Ma lei è laureato?e vuole mettersi a fare la comparsa?”.

Un aiuto regista cafone e grossolano gli urla: “Te devi levà dai cojoni, hai capito, nun c’è un cazzo da fa’ "

Roma  è strade deserte di chi non ha nessuno e gira senza meta con la giacca sulle spalle, vende per poche lire libri preziosi per tirare avanti, questa era l’Italia che, ancora nel ’55, portava in tribunale Ragazzi di vita per oscenità.

Quei ragazzi che giocano a pallone  negli spazi ancora liberi dai casermoni delle borgate, e Pasolini che tira un calcio, una passione, questa sua per il pallone, tante volte fotografata e le parole che chiudono il film:

Mi dà consolazione buttarmi a guardare questi ragazzini saltellanti come fringuelli, ricciuti e neri, tosti come canaglie, solo tu puoi immaginare le scosse  e i brividi che mi arrivano fino al cuore, perché loro, solo loro, sono il mio mondo d’amore”

Tutto questo in un film che costruisce una biografia poetica fatta di frammenti, non è un biopic ma dice molto di più, lascia fuori un inutile documentarismo per cogliere piccoli segmenti astratti, ci sono 25 anni ancora da trascorrere, la fama e gli impegni arriveranno, i suoi Scritti Corsari gli procureranno odio costante e  cronache giudiziarie ininterrotte, ma il Pasolini di Grimaldi è quello che portava al mare gli alunni di Casarsa, il buon prof. che faceva leggere Virgilio e che poi hanno mandato via dalle sue montagne, e quella "passione di essere al mondo" l’accompagnerà fino alla fine.

Pasolini è stato sempre lui, coerente, un uomo di intransigente dolcezza, fino all’ultimo respiro.

 

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