Regia di Leigh Whannell vedi scheda film
Nel 1995, nei boschi dell’Oregon, si perdono le tracce di un escursionista. Non verrà mai ritrovato: i più lo danno per morto, la gente del luogo pensa invece che si sia infettato del male che viene chiamato “Volto da Lupo”.
Blake, un bimbo di circa 10 anni, vive con suo padre proprio in quei boschi. La sua educazione è spartana e militaresca, e anche la pratica della caccia viene vissuta come una sorta di prova vitale e di sopravvivenza. Durante una battuta di caccia al cervo, Blake e il padre si imbattono in una creatura che sta su 2 piedi, ma che pare piuttosto un animale feroce e mai visto prima. I due riescono a uscire vivi dal terribile incontro, e il bambino scoprirà (udendo una conversazione tra il padre e un vicino) che molto probabilmente sono sopravvissuti ad un attacco da parte dell’Uomo Lupo.
Si fa un salto temporale, e dopo trent’anni ritroviamo Blake (Christopher Abbott) a San Francisco, padre amorevole e premuroso di una bambina di nome Ginger (Matilda Firth). Sposato con Charlotte (Julia Garner), entrambi scrittori, i due stanno attraversando un periodo di crisi dovuta alla vita frenetica e al lavoro stressante di Charlotte. Proprio per risolvere questi problemi di coppia, dopo aver saputo della morte del padre con cui non aveva rapporti da molti anni, Blake convince la moglie e la figlia a trascorrere qualche tempo nella sua casa natale tra i boschi, per ritrovare così le sue radici perdute e quella intimità familiare di cui inizia a sentire la mancanza.
Proprio mentre stanno raggiungendo la casa, dopo aver smarrito la strada e quando la notte sta scendendo buia tra i boschi, Blake esce fuori strada con il furgone per evitare di investire una strana creatura. Inizia così la lunghissima notte di trasformazione e terrore.
Se mi sono dilungata nella parte iniziale della sinossi, non dirò altro per tutta il resto della trama. Dirò solo che il film riesce a mantenere il livello di tensione altissimo, nonostante la sceneggiatura sia alquanto scontata e banale. Se infatti chi vede il film (soprattutto quelli come me che mangiano pane e horror) riesce a capire fin dalle prime sequenze come sarà il finale e quali saranno i rapporti tra i vari personaggi, narrativamente la storia riesce a far presa sul piano empatico e non nego che più volte ho sussultato sulla poltrona e qualche volta ho dovuto abbassare lo sguardo per gli ottimi effetti speciali legati alla trasformazione in lupo mannaro.
Perché Blake si trasforma in Lupo Mannaro, questo deve essere chiaro da subito, e non è uno spoiler che può in qualche modo guastare la visione del film. Il buon successo di questo prodotto è proprio nel valorizzare il processo di trasformazione piuttosto che nello sviluppo della storia. Nella prima parte del film lo sceneggiatore Leigh Whannell si sofferma sulla personalità di Blake, sulle motivazioni per le quali ha tralasciato per anni i rapporti con il padre, sul legame che ha con la figlia; nella seconda parte, invece, prende il sopravvento il regista Leigh Whannell. La regia è sicuramente più incisiva rispetto alla sceneggiatura. Ovvero, la costruzione registica è migliore di quella puramente narrativa. Il ritmo del racconto è incalzante, tanto che a volte, in qualche punto, supera il senso di quello che ci viene mostrato. Mi spiego: mentre guardavo il film, aspettavo con ansia quello che sarebbe accaduto qualche momento dopo, la tensione cercava sfogo nella scena successiva.
Ottima la scelta (ad esempio) di mostrare i 2 sguardi differenti mentre Blake si trasforma: Blake che inizia ad udire da Lupo, ad annusare da Animale selvatico, ad osservare le figure e i colori in maniera alterata; le stesse cose vissute da Ginger e Charlotte che fino da ultimo continuano a vedere Blake come padre e marito malato.
Charlotte è infatti shockata piuttosto che impaurita nel vedere il marito prendere le sembianze di un essere mostruoso, idem Ginger, che cerca in tutte le maniere di proteggere il padre e di farlo stare meglio utilizzando i loro dialoghi in codice.
In questo confronto intimo tra Uomo e Animale che si fondono, la mia mente non può non pensare a La Mosca-1986- di David Cronenberg, in cui la trasformazione era appunto una fusione tra uomo e mosca, che dava vita ad un essere che conservava sempre una parte umana che lo induce a decidere di porre fine alla propria sofferenza per mano di chi ha amato tanto.
Non mancano scene di grande impatto emotivo, le varie sequenze di mutazione da uomo a lupo sono di notevole livello, degne di quelle legate al film di John Landis “Un lupo mannaro americano a Londra”-1981, che ad oggi rimane il migliore in assoluto sul tema.
Ormai bisogna dire che la casa di produzione “Blumhouse” è un marchio di garanzia per quanto riguarda i film di genere horror. Se devo essere sincera, mi sono divertita molto di più guardando questo “piccolo” film (103 minuti) di genere, piuttosto che un “Nosferatu”-2024 dell’ultima ora, che è durato ben 40 minuti in più, senza aver raggiunto il medesimo risultato positivo.
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