Regia di Ali Abbasi vedi scheda film
Prima regola: attaccare sempre. Seconda regola: non ammettere mai niente. Terza regola, la più importante: anche quando perdi, non riconoscere mai la sconfitta. È il vademecum che Roy Cohn (Strong), avvocato di successo, faccendiere, maccartista e omosessuale (poi morto di AIDS) elargisce a un giovane Donald Trump (Stan), nella New York degli anni '70, quando l'allora ragazzotto di buona famiglia cercava di smarcarsi dall'ingombrante figura paterna per dimostrare al genitore (proprietario di un impero immobiliare), a sé stesso e al mondo la sua indomita voglia di successo. Tra continue violazioni dell'antitrust, aggiramento del sistema fiscale e subdoli ricatti, Trump si fa strada fino ad arrivare a costruire la Trump Tower nel centro di Manhattan, in barba a qualsiasi regolamentazione urbanistica, truffando i creditori, dileggiando il sindaco e indebitandosi fino al collo. A partire dal libro inchiesta di Gabriel Sherman, Ali Abbasi - regista iraniano da tempo di stanza in Danimarca (suo il notevole Holy Spider) - ricostruisce i primi passi compiuti soprattutto negli anni Ottanta da questo truffatore infingardo, ossessionato dall'alopecia e dalla crescita della pancia, capace di tradire tutto e tutti, bugiardo seriale, omofobo, misogino e violento. È lui l'apprendista del titolo (ispirato al talent show che all'inizio degli anni Duemila dette a Trump anche una notevole notorietà televisiva), capace di superare di gran lunga il suo mentore e di abbandonare quest'ultimo proprio nel momento del bisogno. Un film di propaganda? Forse, se non fosse che i tic del futuro due volte presidente americano sono a portata di clic per un qualunque frequentatore del web, a riprova dei fatti raccontati nel film. Dunque, ben venga che qualcuno ci ricordi - con uno stile spumeggiante, una fotografia desaturata finalizzata a restituire la nuance di quell'epoca e una prova d'attori che è una gara di bravura - chi era e chi è l'uomo a capo del Paese più potente al mondo.
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