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Non dirmi che hai paura

Regia di Yasemin Samdereli vedi scheda film

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La recensione su Non dirmi che hai paura

di pazuzu
5 stelle

Il resoconto filmato della vita a ostacoli di questa giovane e sfortunata eroina moderna riesce solo a metà, vittima di una scrittura sfilacciata e poco equilibrata, che è tanto attenta e scrupolosa nel dettagliare gli eventi che precedono Pechino, quanto è frettolosa nel tirar via quel che viene dopo.

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Samia Yusuf Omar nasce all'inizio degli anni '90 in una Somalia disgregata dalla guerra civile, e cresce vivendo la progressiva erosione delle libertà più elementari in corrispondenza con la diffusione sempre più massiccia del pensiero fondamentalista. Già a nove anni non vuole mettere il velo perché le crea intralcio nella corsa: è già a quell'età, infatti, che capisce che correre è l'unica cosa che le interessa fare, con il padre che la incoraggia a tenere il punto contro chi la prende di petto perché fa cose che non si addicono ad una femmina, e il migliore amico Ali, suo coetaneo, che dopo aver patito le umiliazioni dei suoi sorpassi ne ha accettato la superiorità, proponendosi come suo allenatore e condividendo con lei il sogno di vederla un giorno diventare la più veloce di tutte.

 

 

Non dirmi che hai paura è diretto da Yasemin Samdereli (con la collaborazione di Deka Mohamed Osman) partendo dal romanzo di Giuseppe Catozzella e dunque dalla storia, vera, di Samia, che a 17 anni rappresentò il suo paese correndo i 200 metri alle olimpiadi di Pechino 2008, arrivando ultima ma affascinando il mondo per il coraggio che mostrò gareggiando senza coprire il volto in aperta sfida agli integralisti di Al-Shabaab, e che quattro anni più tardi - con l'obiettivo di vincere Londra 2012 - come culmine di una fuga interminabile da una Somalia sempre più ostile, fu inghiottita dal Mar Mediterraneo mentre tentava di attraversarlo in un barcone che stava a malapena a galla, come tanti - troppi - altri prima e dopo di lei.

 

 

Il resoconto filmato della vita a ostacoli di questa giovane e sfortunata eroina moderna riesce però solo a metà, vittima di una scrittura sfilacciata e poco equilibrata, che è tanto attenta e scrupolosa nel dettagliare gli eventi che precedono Pechino, quanto è frettolosa nel tirar via quel che viene dopo, compreso un viaggio della speranza durato quasi due anni ma sminuzzato e sparso, su e giù per il racconto in dosi piccole e scarne, per poi essere ripreso e concluso in un finale che, nella sua ineluttabile drammaticità, appare privo di sostanza e depotenziato. Ed è un vero peccato.

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