Regia di Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Massimo Venier vedi scheda film
Saprete già tutto di Al, John e Jack, visto che le televisioni e i giornali non parlano d’altro. Riassumendo: ricordate i gangster italo-americani dell’inizio di “Tre uomini e una gamba”? Bene, rieccoli in un film interamente dedicato alle loro strambe avventure. Mafiosi dallo slang “broccolino” al soldo del boss Aldo Maccione detto “coscia di pollo”. Naturalmente non ne combinano una giusta: fanno fuori il Frank sbagliato, taglieggiano il negozio che non dovrebbero e uccidono la zia del capo. Urge un piano per non finire a mollo nell’acido muriatico. Sarà, quello di Al John & Jack, al secolo Aldo, Giovanni e Giacomo, un nuovo miracolo italiano (cinematograficamente parlando, s’intende)? È una domanda retorica: un film che sta per uscire in settecento sale ha ben poche possibilità di deludere il botteghino. Il pubblico del resto è sinceramente affezionato ai tre attori. Li ha resi popolari la Tv ma per fortuna (loro e nostra) hanno saputo mantenere integra l’origine “teatrale” e molto fisica delle loro performance comiche. Di cosa si ride guardando Aldo, Giovanni e Giacomo? Del gioco delle parti e delle maschere (il pignolo pasticcione alla Ollio, il tontolone, il goffo) e dell’eterno segreto d’ogni vis comica, ovvero quella “commedia” molto umana degli equivoci che rivolta la realtà come un guanto senza mai restituirne l’equilibrio. Aldo, Giovanni e Giacomo sono tra i pochi, in Italia, ad aver conservato il senso “rivoluzionario” del mestiere . Nulla di trascendentale, per carità, nessun Tati o Totò, neppure nelle intenzioni, ma chi ama lo stile delle loro performance resterà abbastanza soddisfatto da que-
sto “La leggenda di Al, John & Jack”. Astraendoci però dalla specificità delle gag e dei singoli momenti, e focalizzando l’insieme, il film rispetto al precedente “Chiedimi se sono felice” è deludente. Prima di tutto i tre gansgter, per quanto sgangherati e divertenti, non sono personaggi in grado di reggere da soli centocinque minuti di film. In secondo luogo le ambizioni cinematografiche e la sontuosità del contesto rischiano di schiacciare l’evidenza delle gag. Dolly sul ponte di Brooklyn, fotografia ricercatissima (e un po’ patinata), centinaia di comparse, una sceneggiatura inutilmente complicata, una storia un po’ lunghetta... Armati d’ogni buona intenzione, abbiamo comunque goduto appieno del ritorno di Aldo Maccione, gigante dell’italica commedia da anni “esiliato” in Francia. Anche qui, un grande.
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