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La morte ha sorriso all'assassino

Regia di Joe D'Amato (Aristide Massaccesi) vedi scheda film

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La recensione su La morte ha sorriso all'assassino

di giurista81
8 stelle

“La morte ha sorriso all’assassino” è, ad avviso di chi scrive, la miglior pellicola diretta dall’artigiano Aristide Massaccesi, meglio conosciuto col suo nome d’arte Joe D’Amato. Sceneggiata a sei mani, dallo stesso regista con Claudio Bernabei e Romano Scandariato (“Emanuelle e gli ultimi cannibali”, “Zombi Holocaust”), l’opera propone una storia che rielabora il “germe” partorito da Mary Shelley per “Frankenstein”, senza però scopiazzare.
Devo dire che di idee buone ce ne sono, tanto che alcune di esse ispireranno, in seguito, i nostri più grandi registi del genere. Alcuni aspetti, infatti, saranno ripresi da Pupi Avati, per il suo “Zeder” (idea del “morto” che viene fatto risorgere per amore da un caro, ma che si rivela un assassino furioso, del tutto diverso da ciò che era in precedenza), da Lucio Fulci, per “Black Cat”, e Dario Argento, per “Due occhi diabolici”(entrambi riprenderanno l’idea della donna murata, a loro insaputa con un gatto nero, che fuoriesce quando il protagonista, in tutti e tre i casi un assassino, si trova a faccia a faccia con i suoi crimini) e ancora da Lucio Fulci (la scena con Luciano Rossi massacrato da un gatto nero che gli strazia il volto a colpi di artiglio sarà citata in una delle poche sequenze pregevoli di “Demonia”).
Interessante anche il connubio tra horror gotico e thrilling, soprattutto per l’incastonatura in un’affascinante ambientazione dei primi ‘900.
Purtroppo non è tutto “rosa e fiori”. Difatti, specie nella prima parte, ci sono alcuni momenti (quelli con Luciano Rossi che gira per la magione dei protagonisti) il cui senso mi è parso incomprensibile (o quanto meno non spiegato a dovere).
Abbastanza forzata la presenza del personaggio interpretato da Klaus Kinski (attore che non necessita presentazioni), il quale pare esser stato inserito più per far leva sul suo nome che per un’esigenza di copione.
Passando alla “confezione del prodotto”, inteso come giudizio complessivo sul pacchetto fotografia-regia-colonna sonora-effetti speciali, penso di poter affermare con assoluta certezza che si tratti - di gran lunga - dell’opera più curata del regista.
Nonostante si registrino tempi dilatati, forse anche troppo, il taglio scelto da Massaccesi è assai gustoso. Grande abbondanza di soggettive, carrellate, ma anche di continue inquadrature sugli occhi (quasi in stile Fulci o Richard Donner nel successivo “Omen - Il Presagio”, direi). A differenza del suo solito, poi, il buon Aristide riesce a essere poetico anche laddove spesso finiva con il divenire volgare. Si hanno così una paio di ottime sequenze erotiche che sfiorano la poesia.
Ma il merito del regista non finisce certo qui. Ci sono almeno altre tre-quattro sequenze meritevoli di menzione per il loro contenuto onirico (inseguimento a opera di Luciano Rossi ai danni di una cameriera che cerca di fuggire dalla magione, con MDP mobile inclinata dal basso verso l’alto a riprendere i volti stagliati nel cielo) ovvero per il contenuto spiccatamente horror (sequenza al cimitero, con Rossi-Stuart braccato dalla protagonista; o, ancora, quella – forse un tantino lunga - con Luciano Rossi aggredito da un gatto).
In palla gli attori, tra i quali la brava Ewa Aulin nelle vesti di protagonista. Piccoli ruoli per il glaciale Klaus Kinski (qui non al top), Giacomo Rossi Stuart e Luciano Rossi (che tutti ricorderanno nei panni di Timido in “Lo chiamavano Trinità”, ma che, in verità, è un volto assai noto nel “circuito spaghetti thriller”).
La fotografia (dello stesso Massaccesi) è di spessore, a differenza, invece, di quanto era solito confezionare.
Curati, per l’epoca, gli effetti gore e, nonostante non sia un “horror da macelleria”, vi assicuro che ce ne sono diversi, persino splatter, degni di rispetto (su tutti una donna a cui viene sparato con una doppietta in pieno volto).
Gradevolissima la morriconeggiante colonna sonora firmata Berto Pisano.
Senz’altro da vedere per gli appassionati del genere, si astengano i divoratori di opere blockbuster. Bene, anche se c’è qualche difettuccio. Voto: 7.5

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