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Le armonie di Werckmeister

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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La recensione su Le armonie di Werckmeister

di Peppe Comune
9 stelle

In paese non ben precisato dell'Ungheria vive il giovane Janos Valuska (Lars Rudolph), un ragazzo semplice e puro che accompagna le sue giornate all'osservazione di un mondo in stato di latente abbandono. Frequenta un bar dove utilizza i vecchi avventori come pianeti per fare una fantasiosa rappresentazione dell'eclissi solare. E' solito fare visita al professor Gyuri Eszter (Peter Fitz), immerso nei sui studi sulla musica, convinto assertore di un ritorno al periodo precedente le intuizioni di Andreas Werckmeister sulla scala temperata per sottrarre la purezza musicale alle semplificazioni "ingannevoli del calcolo matematico". Intanto, in paese, arriva un grosso camion con container a rimorchio, una specie di circo ambulante che ha come attrazione un "Principe" nano con sedicenti poteri divinatori e "la più grande balena del mondo". Tutto questo ha un effetto disturbante sulla popolazione, che inizia a muoversi come se una forza arcana la spingesse sul baratro dell'autodistruzione. Ne seguono dei disordini e Tunde (Anna Shygulla), l'ex moglie del professore, chiede a Janos di intercedere per lei presso l'ex marito, l'unico che può convincere i notabili della città ad appoggiare e finanziare la politica messa a punto dall'esercito per ripristinare al più presto l'ordine costituito.

 

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Le armonie di Wercmmeister - Lars Rudolph

 

La trama probabilmente, che ha pure una sua linearità narrativa, ma che tuttavia sembra solo un pretesto per indirizzare l'attenzione verso la forma allegorica di una delle possibili rappresentazioni dell' Apocalisse. Col cinema di Bela Tarr, la tecnica cinematografica, da semplice e fondamentale supporto per le finalità artistiche del narrato, assume un ruolo più incisivo e sostanziale, carnale direi, di cosa di cui si avverte imprescindibilmente la presenza a da cui si è avvinti fino a diventarne sensibilmente partecipi. Un bianco e nero di accecante sensualità espressiva, l'utilizzo di lunghi piani sequenza e degli impercettibili movimenti di macchina, hanno la capacità di imprigionare lo sguardo entro una dimensione altra, un non luogo dove la ricerca della conoscenza e la presenza invasiva del caos si armonizzano nell'unicità delle rispettive simbologie e dove l'interazione tra l'oggetto rappresentato e chi l'analizza avviene attraverso la condivisione in tempo reale di una stessa sospensione ipnotica. "Le armonie di Werckmeister" (come "Karhotaz") è un film sull'attesa di un azione risolutiva, di un entità superiore che intervenga a riordinare il tutto seguendo strade diverse da quelle che le hanno precedute, che portino chissà dove e che intanto sono percorse da una violenza cieca e istintiva la cui gratuità è spiegabile solo facendo riferimento alla perdita di ogni coordinata etica e sociale. Tanto la grossa balena quanto la presenza-assenza di questo Principe mefistofelico, rappresentano il confine tra l'ordine e il disordine, l'entrare in una dimensione coscientemente imposta della realtà sensibile e l'uscirne attraverso l'apoteosi di una rovinosa reazione collettiva. Bella ed emblematica (anche grazie alle stupende musiche di Mihàly Vig) la sequenza che porta, dopo la marcia impetuosa di un orda di uomini infuriati, alla devastazione di un ospedale, una violenza crudele che si placa solo alla vista di un anziano signore che è sorpreso in piedi in una vasca da bagno, nudo e scheletrico, avvolto da una luce abbagliante dai tratti misteriosi, tremolante per la sopraggiunta paura. Un avanzo dell'olocausto o un nuovo "nazareno" venuto a imprimere compassione forse, l'inizio e la fine probabilmente, racchiusi necessariamente in un unico insieme : la ricostruzione dopo la rovina. Il centro catalizzatore rimane Janos Valuska, una presenza che rimane costantemente nell’ombra mantenendo una purezza di spirito appena scalfita dalla tragedia che incombe. É l’inconsapevole ambasciatore di un disarticolato piano reazionario e l’inerte messaggero di un ultimo, inascoltato, gemito di bellezza, è l’unico che scorge la maestosa potenza del creato in quella balena diventata l’innocente fonte delle pubbliche paure ed è l’ultimo a rendersi partecipe dello stato di abbandono a cui è stato ridotto il pianeta. Lo ritroveremo nel finale con la faccia attonita di chi ha perso quella speranzosa ingenuità di un puro di spirito per far posto alla consapevole elaborazione di un lutto. Con lo sguardo perso nel vuoto, come chi ha conosciuto il senso profondo della paura e, come dice il Principe, “chi ha paura non sa nulla”. Grande cinema.

 

 

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