Regia di Johnny Depp vedi scheda film
A prevalere, in lungo e in largo, per un'ora abbondante, è una sorta di leggerezza disordinata che fa molto bohémien, ma che dà anche una forte idea di improvvisazione e soprattutto la sensazione di una storia che non sa dove andare a parare per via di un regista che si perde in frizzi e lazzi.
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Meno male che c'è Al Pacino!
È questo il primo pensiero che sorge dopo la visione del secondo film da regista di Johnny Depp, Modi: Three Days on the Wing of Madness, giunto 27 anni dopo il precedente The Brave.
Pacino ha una parte minore anche se il suo personaggio (il collezionista d'arte Maurice Gangnat) è citato più volte, ed è impegnato di fatto in una sola scena, comunque lunga e determinante. Ebbene quella scena, che giunge nella seconda parte del film, segna un profondo scarto sotto il profilo del tono rispetto a tutto ciò che l'ha preceduta.
Magari è una contingenza, o forse un merito assegnato al fuoriclasse quando andrebbe riconosciuto alla sceneggiatura (di Jerzy Kromolowski e Mary Olson-Kromolowski) e/o spostato temporalmente indietro di qualche ulteriore minuto. Fatto sta che il film ha un enorme difetto nel manico, pagato con una prima parte errabonda e inconcludente. A partire dal terribile incipit, che vede l'Amedeo Modigliani interpretato da Riccardo Scamarcio, nella Parigi della Grande Guerra, dare spettacolo nel Café du Dôme facendo prima piedino sotto al tavolo ad una ragazza accompagnata a cui ha appena venduto un ritratto, poi provocando un generale tanto da rispondere alla sua sfida a singolar tenzone brandendo una baguette come se fosse il proprio fallo, finendo ad infrangersi contro una vetrina con tanto di bestemmia (in italiano) abortita, con una mano ferita e la polizia alle calcagna.
Il tono si mantiene prevalentemente farsesco ancora per un bel po', specialmente quando il nostro, braccato dai gendarmi e dalla telecamera di un Johnny Depp che in lui si specchia, si perde in siparietti sconclusionati, caratterizzati da dialoghi surrealmente inascoltabili quando non imbottiti di volgarità gratuite, con i suoi amici Maurice Outrillo e Chaïm Soutine, anche loro parimenti a lui artisti dal talento non ancora riconosciuto, facendosi un filo più serio (ma neanche poi troppo) nelle schermaglie dialettiche con la sua musa, la giornalista e poetessa Beatrice Hastings.
A prevalere, in lungo e in largo, per un'ora abbondante, è una sorta di leggerezza disordinata che fa molto bohémien, ma che dà anche una forte idea di improvvisazione e soprattutto la sensazione di una storia che non sa dove andare a parare per via di un regista che si perde in frizzi e lazzi.
Il tiro, come accennato, viene corretto in corso d'opera, quando con l'arrivo di Pacino si cambia registro e i fronzoli e il turpiloquio gratuito vengono messi da parte per una ultima mezzora abbondante più centrata e drammaticamente compiuta: ma è troppo tardi, e troppo poco, per poter definire questo Modi: Three Days on the Wing of Madness un'operazione riuscita.
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